Mobbing e Stalking

Elvira Falbo - Mobbing e Stalking

Tratto da:

NUOVO SVILUPPO Rivista semestrale di Scienze Umane dell' Istituto Superiore di Studi e Ricerca per l'Assistenza Sociale e Sanitaria 1/2016 (ISSAS) www.issas.org

Francesco D'Ambrosio -L'aggressione psicologica e morale sul posto di lavoro: persecuzioni da mobbing

Manuela Lorio - Il Mobbing come patologia dell'epoca moderna -

Manuela Lorio - Introduzione allo stalking: Dallo stalking alla riscoperta dell'Altro

Massimo Mariani - Cosa è lo stalking

Eva Tonolini - Il Mobbing: aspetti giuridici

Mobbing e Stalking

di Elvira Falbo

In questo numero vorremmo approfondire come alcune dinamiche di deviazione psichica caratteristiche del nostro tempo possano influenzare negativamente il vivere associato.

Vengono alla luce alcune caratteristiche asociali, tipiche delle persone immature e gli aspetti deteriori del carattere, con atteggiamenti di violenza e di sopraffazione dei più deboli.

Nei tempi più recenti il mobbing si è configurato come cyber bullismo per l'uso dei social per aggredire una persona.

Si tratta di persone che non hanno il coraggio di aggredire le vittime usando la propria faccia, ma spesso si nascondono dietro false identità virtuali per offendere, denigrare, calunniare e comunque sottomettere il malcapitato.

Vi sono varie sentenze nei tempi più recenti che condannano questo tipo di reato, come daremo notizia.

Come nasce il bullismo? Anzitutto dalle dinamiche di gruppo che diventano devianti e negative senza un controllo, di cui abbiamo ampiamente parlato nello scorso numero. Vediamo ora quale sono le cause dovute allo sviluppo della personalità. Dal punto di vista psicoanalitico lo sviluppo della personalità umana è un processo complesso che procede attraverso una sequenza di fasi diversamente messe a punto dai vari autori con ricchezza di dettagli e di precisazioni.

Il bambino inizia la vita in uno stato simbiotico con la figura materna e, attraverso la progressione di tappe evolutive, è capace di separarsi gradualmente da tale dipendenza per stabilire un'esistenza psichica separata, indipendente e relativamente autonoma.

Se il processo di separazione e individuazione risulta positivo, esso porta verso un'organizzazione progressivamente più differenziata e internamente più integrata del senso di Sé e verso la formazione graduale di una identità che riflette l'organizzazione psichica, unica e originale, di questa crescita individuale, capace di far fronte alle normali crisi evolutive e agli inevitabili conflitti.

Il mancato raggiungimento di un senso di identità significa che gli individui rimangono intensamente ed emotivamente attaccati alle loro famiglie, focalizzando le loro energie e ansietà sul benessere dei propri genitori e della famiglia più che sul proprio. Non possono vivere separati dai genitori che risultano essenziali per la loro esistenza. Questo attaccamento, con i relativi conflitti, raggiunge normalmente l'apice nella crisi adolescenziale, quando il giovane cerca di opporsi alle spinte evolutive e agli attaccamenti infantili.

Se l'adolescente non riesce a riguadagnare il tempo perduto, gli è impossibile differenziare o separare il proprio Sé da quello dei genitori e a dirigere in modo significativo le proprie energie verso uno sviluppo normale con risposte adeguate all'ambiente.

Gli individui con un' identità impoverita sviluppano valori e credenze non autonome, adattando se stessi alle forze che trovano negli altri, pertanto in essi appare poca o nessuna motivazione verso la stabilizzazione della propria identità e dell'indipendenza dai genitori o dalla famiglia.

Questo accade agli adolescenti che diventano preda delle follie del grippo per un senso di onnipotenza che si dirige verso le persone più sole e più deboli.

Invece gli individui che hanno maturato in modo positivo il senso dell'identità sono capaci di tollerare non soltanto di tollerare le differenze fra sé e gli altri, ma di accettare e di valutare le distinzioni e le differenze.

Una delle caratteristiche più importanti delle famiglie composte da individui poco differenziati è la facilità con cui l'agitazione emotiva di un membro si riverbera sull'ambiente, causando un contraccolpo immediato negli altri membri. L'individuo che raggiunge un senso consolidato dell'identità personale può vivere invece in un campo di emozioni che mantengono integro il proprio senso di individualità e trovando un giusto equilibrio tra la separazione e l'identificazione.

Questo tratto particolare della personalità integrata e la relativa incapacità delle personalità meno differenziate a contenere il flusso di emotività sono aspetti rilevanti al fine di comprendere le dinamiche più profonde dei sistemi familiari e successivamente dei sistemi sociali.

A tale proposito, gli autori, hanno elaborato una serie di concetti strutturandoli attorno al processo paranoide, muovendo dalle considerazioni di Freud sul ruolo delle interiorizzazioni.

Il concetto centrale è quello di introiezione, essenziale per comprendere il processo paranoide. Le primissime introiezioni, attraverso le quali cominciano a formarsi il mondo interiore e il senso del sé del bambino, sono promosse dal processo di separazione con la madre. Nella misura in cui riesce a negoziare tale processo con successo e sicurezza, il bambino si afferma progressivamente come essere indipendente.

Il processo di introiezione svolge una funzione positiva e costruttiva, in quanto il bambino prende dalla madre e adatta come parte della propria visione di sé una selezione di elementi da ricomporre con modalità proprie nell'organizzazione psichica individuale.

Anche dalla parte della madre ci deve essere la capacità di tollerare la separazione del figlio, riconoscendo, accettando e rispondendo in modo significativo e positivo, infatti se questo processo fallisce si registrano delle difficoltà da parte di entrambi. Infatti il bambino è portato verso un'eccessiva dipendenza infantile, manifestando la tendenza a rimanere attaccato con conseguente paura nella separazione, mentre la madre presenta eccessiva ansietà per la perdita dell'unità simbiotica.4

Il processo che struttura l'esperienza familiare è un fenomeno evolutivo che può essere accostato per analogia al ciclo di vita personale, contrassegnato dalle diverse tappe, crisi e compiti evolutivi. Si parla così di ciclo di vita familiare, con dei passaggi sequenziali, degli impegni e delle difficoltà per ogni tappa.

Molti autori di ispirazione psicoanalitica hanno fatto proprio l'orientamento evolutivo, per cui ci soffermeremo su alcuni momenti sequenziali, quali la scelta del partner, l'innamoramento, il fidanzamento e la costruzione della vita familiare nei successivi adattamenti progressivi.

Similmente nella vita sociale molti dipendono dal gruppo, non riescono ad avere idee proprie e non si discostano da comportamenti anomali, dalla ferocia del gruppo perché ciò sarebbe destabilizzante per la loro psiche infantile e dipendente.

Tutta la psicoanalisi è concorde nell'affermare che sono profonde motivazioni inconsce a rendere due persone sessualmente e psicologicamente attraenti. In generale la maggior parte delle teorie psicoanalitiche fa risalire i sentimento d'amore e l'attrazione sessuale tra due partner adulti a un trasfer di emozioni provate nel passato, soprattutto durante l'infanzia.

Questo riferimento ai fenomeni transferali evidenzia il carattere ripetitivo delle scelte adolescenziali e e la tendenza r a rivivere, attraverso la relazione di gruppo, conflitti non risolti, nel tentativo di rielaborarli e portarli a soluzione.

In un gruppo le persone, nel momento in cui decidono di iniziare una relazione cercano di ottenere tutte le soddisfazioni e le gratificazioni che da sole non sarebbero in grado di ottenere. Tutto questo presuppone che a tale esigenza possa corrispondere una situazione di gruppo ottimale, pertanto ognuno dei componenti opera la propria scelta aspettandosi qualcosa dagli altri e, perché il gruppo funzioni, è necessario che tali aspettative siano complementari e che tutti i soggetti componenti traggano beneficio dalla relazione.

Gli autori dell'approccio psicoanalitico hanno illustrato alcune tipologie di scelte del gruppo, distinguendo le situazioni delle fasi pre-edipiche, da quelle della fase edipica e della fase specifica della latenza.

Tali tipologie devono essere considerate non in senso rigido ma richiedono flessibilità, esse sono: la scelta illusoria, la scelta oggettuale per appoggio, la scelta oggettuale di tipo narcisistico, la scelta oggettuale mista e la scelta oggettuale centrata sul legame con l'oggetto.

La scelta illusoria è contraddistinta dall'incapacità di stabilire una relazione ambivalente con l'oggetto, che viene immediatamente respinto qualora non corrisponda più all'immagine perfetta elaborata dal soggetto. La radice di questa situazione viene fatta risalire alle esperienze dei primi mesi di vita, quando il bambino sviluppa il proprio attaccamento e investe libidicamente l'oggetto d'amore primario.

La scelta illusoria impone sempre una serie di misure di sicurezza per mantenere un'immagine del partner totalmente positiva e sempre soddisfacente. A questo tipo di scelta è probabile che risponda una persona con esigenze simili di limitazione della relazione, dovute forse a problemi personali differenti.

La scelta oggettuale per appoggio sembra trarre origine dai bisogni frustrati di autonomia, emergenti in particolare durante la fase anale. Sia la figura materna «morbida», che una eccessivamente severa ed autoritaria possono, facendo leva sul bisogno di attaccamento ancora presente, colpevolizzare il bambino per i suoi desideri di autonomia, attraverso imposizioni repressive. Ad entrambe le comunicazioni il bambino può reagire difensivamente, sottomettendosi o identificandosi.

Nell'età adulta queste persone probabilmente cercheranno qualcuno che si prenda cura di loro e che le protegga, provvedendo alle loro necessità materiali e psicologiche, il loro scopo esistenziale si focalizzerà nell'essere amate più che nell'amare.

La scelta oggettuale di tipo narcisistico determina due tipi di comportamento, a seconda dell'identificazione con le parti potenti «buone», oppure con le parti «aggressive». Nel primo caso si genera un compulsivo bisogno di prendersi cura dell'altro, nel secondo caso emerge un bisogno compulsivo di dimostrare il proprio potere. Queste scelte di coppia sono di tipo narcisistico, perché il partner rappresenta per il soggetto se stesso bambino, sul quale vengono proiettati i propri bisogni.

La scelta oggettuale mista ha le proprie radici nella fase della latenza, che non significa affatto arresto nell'evoluzione della sessualità. Tale scelta coincide con la scuola dell'obbligo, caratterizzata dai bisogni di autostima e di autoaffermazione del bambino, che devono essere appagati sia delle figure che detengono il potere che dai coetanei. La scelta è definita mista, perché può comprendere componenti narcisistiche e di appoggio.

La scelta oggettuale centrata sul legame con l'oggetto è basata non tanto dal mancato soddisfacimento dei bisogni infantili, ma sul desiderio di comunicazione con l'altro, di scambio affettivo, di crescita ed arricchimento personale.

Con la scelta dei membri del gruppo vengono poste le basi per la formazione della nuova identità sociale, infatti se la scelta è reciproca viene a costituirsi un sistema, in cui le dinamiche sono la risultante dell'interrelazione dei meccanismi psichici individuali.

L'esperienza dell'ingresso in un gruppo deviante è normalmente accompagnata da alcuni fenomeni psichici che contribuiscono a darle le caratteristiche di straordinarietà e di appagamento. Il meccanismo più appariscente è la sopravvalutazione dell'oggetto d'amore, tale sopravvalutazione è collegata all'idealizzazione, cioè alla proiezione dell'ideale dell'Io del soggetto sulle persone che lo circondano, che diventano in tal modo perfetti agli occhi dell'intero gruppo, in quanto rivestono le qualità a cui ciascuno aspira.

Un periodo di crisi e di delusione apre normalmente questa fase e ne permette l'evoluzione e la successiva manifestazione di tutto il potenziale maturativo sia per l'individuo che per il gruppo, ma dal punto di vista relazionale si mostra un periodo dove vengono affrontati alcuni compiti, o meglio dove dovrebbero essere affrontati, perché l'impegno varia da soggetto a soggetto e da gruppo a gruppo.

Un compito evolutivo molto significativo di questa tappa è quello di stabilire e mantenere un nuovo livello di relazione oggettuale. Se nel gruppo la relazione è contrassegnata dai bisogni soggiacenti individuali e della ricerca di complementarietà nel gruppo, l'evolversi della relazione e l'entrata nella situazione dovrebbero portare verso livelli di gratificazione del bisogno ad un punto dove la relazione è basata meno sulla soddisfazione immediata di tali bisogni, in favore di una gratificazione collettiva.

La relazione di gruppo introduce la fase del processo della separazione dalle figure parentali, anche se, in un certo senso, essa non è mai totale. Su questa fase pesano di per sé i successi e i limiti delle fasi precedenti. Infatti nella misura in cui è già stato maturato un Sé relativamente autonomo e individualizzato e la relazione non si è arrestata al primo avvio, ci sono le premesse per superare positivamente anche questa fase. Tuttavia se la separazione è meno riuscita, l'individuazione e la differenziazione del Sé rimangono fragili e suscettibili di impulsi regressivi.

Un altro aspetto importante riguarda l'identità. Quando una persona con un'identità ben differenziata e individualizzata entra in relazione di gruppo, diventa capace di partecipare al dialogo sociale sentendosi emotivamente libera.

Si riesce così a comprendere il livello di funzionamento individuale e la comprensione degli aspetti psicologici dei processi sociali. In conclusione si può dedurre che la prospettiva psicoanalitica copre soprattutto un versante, focalizzando l'attenzione soprattutto sul flusso emotivo nel sistema gruppale, pertanto per uno studio corretto del problema è opportuno approfondire altri contributi provenienti da altri approcci psicologici.5

L'approccio sistemico-relazionale ha costruito la sua metodologia intorno all'idea che il disagio psichico può essere colto attraverso l'osservazione delle relazioni umane. Si tratta di relazioni specifiche, peculiari e necessarie per lo sviluppo di ogni individuo: quelle che vengono a costituirsi all'interno del gruppo.

Possiamo concludere che solo personalità immature poco differenziate e poco libere possono esprimersi con comportamenti di gruppo che sfociano nel bullismo.

Comportamento analogo è quello dello stalker.

Un individuo immaturo non riesce ad accettare la separazione dall'oggetto di amore.

Stalker è un termine inglese che in italiano indica una serie di atteggiamenti tenuti da un individuo, i quali affliggono un'altra persona, perseguitandola, generandole stati di paura e ansia, arrivando persino a compromettere lo svolgimento della normale vita quotidiana.

Lo stalking è un vero e proprio reato perché rende alla vittima la vita impossibile. Nella quasi generalità dei casi lo stalker è un uomo, che non accetta un rifiuto da parte di una donna e quindi inizia a perseguitarla con messaggi, telefonate, spesso mute, pedinamenti fino al femminicidio.

Si tratta quindi di persone che hanno gravi problemi psichici legati allo sviluppo infantile che non accettano un abbandono. Probabilmente il vissuto e le carenze dell'infanzia entrano in gioco fino a determinare una personalità complessa, infantile, certamente non libera e non adulta. Di questo tratteremo in un apposito studio.

Abbiamo aperto allo scopo un Centro di Ascolto per raccogliere le denunce e le testimonianze delle vittime e accompagnarle nel percorso di "liberazione" attraverso la denuncia all'Autorità Giudiziaria, la segnalazione ai Carabinieri, ma anche attraverso il counseling, il sostegno psicologico e l'aiuto pratico.

Ci troviamo di fronte a situazioni che richiedono soluzioni complesse, di tipo educativo, sia nella famiglia che nella scuola e nella società perché il vivere associato sia fonte di soddisfazioni e non di stress.

Ci troviamo spesso di fronte alla parola dipendenza, parola che ha connotazioni generalmente negative che rimandano alle dimensioni della povertà delle risorse personali e sociali. Nonostante questo tuttavia, l'uomo in quanto essere finito ed imperfetto non può non fare i conti con i suoi limiti, quindi con la sua "congenita" e insormontabile condizione di dipendenza. La dipendenza nel senso più esteso del termine è un dato di fatto e, qualunque sia la dipendenza è un dato di cui occorre tener conto.

Vogliamo quindi essere un gruppo che non dipende da una persona, da un leader, ma un gruppo di persone autonome ed indipendenti che si riconoscono in un vivere associato libero e maturo.

Anche quando si indaga il campo della dipendenza psicopatologica, ricollocare il fenomeno della dipendenza nell'ambito delle manifestazioni normali ha un valore etico, oltre che scientifico: il continuum dipendenza normale/dipendenza patologica ci aiuta a capire l'origine di un eventuale comportamento disfunzionale e a rifuggire dalla tentazione di attribuire etichette stigmatizzanti.

L'ipotesi, forse un po' ardita, che vogliamo sostenere, è che non c'è poi molta differenza tra il dipendere dal gioco, dal fumo o da una persona, vale a dire tra la dipendenza comportamentale e quella chimica. Secondo questa ipotesi la tendenza eccessiva di alcune persone a dipendere da un oggetto di attaccamento si configura come un tratto di personalità che può avere varie origini: la scarsa individuazione all'interno della famiglia, il probabile rinforzo positivo verso comportamenti dipendenti, l'attaccamento evitante nell'infanzia...

Nella varietà delle situazioni reali, si ripropone a grandi linee sempre il medesimo copione in cui il dramma della dipendenza è giocato da tre attori: il soggetto dipendente, l'oggetto della dipendenza e il contesto; l'esperienza iniziale è decisiva all'istaurarsi della dipendenza, essa è data dall' incontro tra le aspettative del soggetto dipendente e l'attrattiva che l'oggetto ha per quella determinata persona. Dunque, non ha senso imputare tutte le colpe alla nocività di una sostanza, all'immoralità di un atto o al loro intrinseco potenziale di dipendenza. Il fattore soggettivo è importante, se non addirittura prioritario.

Solo il Signore può aiutarci a renderci liberi e nello stesso tempo interdipendenti gli uni dagli altri, perché crediamo nella forza del Suo Amore che libera e che ci libera dai nostri condizionamenti umani.

L'AGGRESSIONE PSICOLOGICA E MORALE SUL POSTO DI LAVORO: PERSECUZIONI DA MOBBING

Francesco D'Ambrosio

Introduzione

Nell'epoca in cui viviamo, dove le trasformazioni del mondo del lavoro sono sempre più risentite (es. aumento della precarietà, pressione, stress, competitività, carriera, conflitti interpersonali...), stanno assumendo maggior rilevanza e diffusione forme di aggressione sul posto di lavoro, includendo tra questi comportamenti inappropriati - aggressivi e vessatori - esercitati nei confronti dei lavoratori, che vanno dalla violenza fisica a quella psicologica e morale.

Per quanto ancora oggi non c'è una definizione univoca di cosa costituisca "violenza sul posto di lavoro", in Italia il termine che ha trovato una certa considerazione sul piano psicologico e sociale è il "mobbing", che deriva dal verbo inglese to mob e significa letteralmente assalire, aggredire, affollarsi minacciosamente intorno a un singolo individuo.

Con la parola mobbing si intende definire l'"aggressione" sistematica e continuativa che viene attuata contro un lavoratore, da parte del datore di lavoro, da un suo preposto, superiore gerarchico oppure anche da colleghi e/o compagni di lavoro, con diverse modalità e con chiari intenti discriminatori e persecutori. Tali azioni sono protese a emarginare progressivamente il lavoratore dal proprio ambiente di lavoro e a indurlo alle dimissioni, arrecandogli, altresì, danni all'integrità psichica e allo stato di salute in generale, come vedremo in questo lavoro.

Assistiamo, quindi, a una dimensione umana nella quale l'aggressività di tipo strumentale tipica degli animali (si vedano a tale proposito i lavori di Konrad Lorenz), viene trasformata in violenza fine a se stessa, indiscriminata e senza freni inibitori.

Nell'eziopatogenesi di tale fenomeno un ruolo importante è rivestito dalle variabili sociali e organizzative dell'ambiente lavorativo che interagiscono con processi psicofisiologici, psicologici e di personalità del singolo individuo, oppure un gruppo di lavoratori.

Da tali premesse è nato questo lavoro, il quale si propone di analizzare il fenomeno dell'aggressione psicologica e morale sul posto di lavoro: mobbing. In particolare, vengono evidenziate le caratteristiche psicologiche e di personalità della vittima di mobbing (aggredito, cosiddetto mobbizzato) e dell'aggressore o degli aggressori, cosiddetti mobbers, e alcune possibili misure di intervento e di prevenzione da utilizzare contro il diffondersi di questo fenomeno.

Che cos'è il mobbing? Analisi descrittiva dell'aggressione psicologica e sociale sul posto di lavoro

Appare a questo punto evidente che il mobbing è un comportamento strategico che si manifesta attraverso un'aggressione o violenza a livello psicologico (relazionale, o sociale) nei confronti di un componente del gruppo di lavoro. Viene utilizzato per allontanarlo o, addirittura, di espellerlo o meglio, metterlo nelle condizioni di autoespellersi dal lavoro arrecandogli, inoltre, dei danni.

A tale proposito, il National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH) definisce la violenza nel posto di lavoro come "ogni aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica nel posto di lavoro".

Nella maggior parte dei casi gli atti di violenza consistono in eventi con esito non mortale, ossia aggressione o tentativo di aggressione, fisica o verbale, intimidazioni realizzate con uso di un linguaggio offensivo. Tuttavia, questi atti a danno dei lavoratori costituiscono eventi sentinella che richiedono la messa in atto di opportune iniziative di protezione e prevenzione, come vedremo alla fine di questo lavoro.

Tali atti e comportamenti vessatori danneggiano, come si può osservare, la personalità e la dignità del lavoratore, incidendo

  • sulla sua immagine sociale,
  • sulla sua integrità psichica,
  • sulla situazione privata e professionale,
  • sulla possibilità di comunicare e sulle relazioni sociali (falsi pettegolezzi, diffamazioni, carenze di informazioni, minacce...),
  • sullo stato di salute in generale.

Alcuni di questi comportamenti si possono trovare nella comunicazione umana quotidiana (per esempio, essere ignorati dagli altri) o durante casuali litigi. Solo se queste azioni o strategie di comportamento vengono compiute di proposito, frequentemente e per molto tempo, si possono chiamare "mobbing".

In ogni caso, le azioni che hanno la funzione di manipolare la persona in senso non amichevole si possono distinguere in tre gruppi di forme di comportamento che riguardano principalmente la sfera della comunicazione, della reputazione personale e della prestazione lavorativa, così come si può osservare nella Tabella 1.

Tabella 1. I tre gruppi di forme di comportamento implicate nel mobbing.

  • un gruppo di azioni verte sulla comunicazione con la persona attaccata, tendendo a portarla all'assurdo o alla sua interruzione (es. la persona viene rimprovera, criticata continuamente, in particolare, il suo lavoro o la sua vita privata, terrorismo telefonico, non gli si rivolge più la parola, si rifiuta il contatto, si fa come non ci fosse, si mormora in sua presenza, ecc.);
  • un altro gruppo di comportamenti riguarda la reputazione personale, in cui vengono utilizzate strategie per distruggerla (es. pettegolezzi, offese, ridicolizzazioni effettuate su handicap o sulle idee, umiliazioni ecc.);
  • infine, le azioni del terzo gruppo tendono a manipolare la prestazione lavorativa, per esempio, per punirla non gli viene affidato alcun lavoro, o gli vengono affidati compiti inutili, o umilianti, o molto pericolosi ecc.

Come abbiamo appena visto, il mobbing è un fenomeno molto complesso e articolato che non colpisce la sua vittima all'improvviso, ma può manifestarsi solo in un secondo momento cominciando in maniera lenta e subdola nascondendosi dietro infinite parvenze. Tale complessità ha indotto molti autori a elaborare diversi schemi teorici per individuare le caratteristiche ricorrenti di una situazione di mobbing, quale appunto "situazione non stabile", ma un processo in continua evoluzione. Tra questi, un modello descrittivo del fenomeno adottato alla realtà socio-lavorativa italiana è quello di Harald Ege, maggiore esperto in Italia di mobbing. L'autore ha messo a punto un modello esplicativo del mobbing che si fonda sul modello a quattro fasi elaborato da Leymann, ma che ne costituisce un ampliamento. Esso comprende una sorta di pre-fase detta "condizione zero", che ancora non è mobbing ma che costituisce il presupposto indispensabile allo sviluppo di tale fenomeno. Si tratta di un conflitto generalizzato, che vede tutti contro tutti e non ha una vittima ben specifica. Alcuni esempi sono: banali diverbi d'opinione, discussioni, piccole accuse reciproche, ripicche, ecc. La caratteristica fondamentale della condizione zero è che non c'è da nessuna parte la volontà di distruggere, ma solo quella di elevarsi sugli altri. Per una maggiore comprensione vediamo le altre fasi illustrate nella Figura 1.

Figura 1. Descrizione delle fasi dell'aggressione psicologica sul posto di lavoro.

Va aggiunto, inoltre, che per essere ritenuti affetti da disturbi psichici da costrittività lavorativa non è sufficiente essere vittime di una situazione vessatoria ingiustificata, occorre anche avere sviluppato la patologia conseguente (vedi oltre in questo lavoro).

Le persone coinvolte nel fenomeno mobbing: la figura del mobbizzato, del mobber e gli spettatori

E stato fatto notare che il mobbing non è un virus, non è un materiale nocivo, né radioattivo, ma è tuttavia una situazione altalenante negativa di pressione psicologica che si manifesta come un'azione o una serie di azioni dirette da una o più persone ("mobbers") verso altre persone ("mobbizzati") con lo scopo di aggredire e distruggere intenzionalmente sia da un punto di vista psicologico, che sociale e professionale la vittima.

E' convinzione comune, tuttavia, che la persona più danneggiata nel processo di mobbing è senza alcun dubbio la vittima, la quale viene coinvolta in un escalation di sentimenti ed emozioni molto forti, quali ad esempio, autocolpevolizzazione, solitudine (vuoto sociale), vissuto di unicità della propria esperienza, e depersonalizzazione (la persona non riconosce più se stessa).

Inoltre, si assiste a un'anestesia reattiva, in cui la vittima è ormai oggetto di una vera e propria persecuzione, il mobbing è in atto, e si trova inerme senza più forze.

Il soggetto "mobbizzato" (o vittima del mobbing) vive una prima fase caratterizzata da ansia reattiva nel tentativo di impostare una strategia difensiva (vedi più avanti). Qualora questa risultasse infruttuosa l'ansia reattiva lascia il posto a una sensazione di inadeguatezza e alla tendenza all'auto-isolamento, fino ad arrivare alla vera depressione.

Nella Tabella 2 vengono descritte le principali caratteristiche psicologiche e di personalità dell'aggredito (vittima o mobbizzato).

Tabella 2. Caratteristiche psicologiche e di personalità dell'aggredito.

L'aggredito è una persona che:

  • mostra mancanza di fiducia in sé, indecisione e un senso di disorientamento generale;
  • rifiuta ogni responsabilità per la situazione o accusa distruttivamente essa;
  • definisce il suo ruolo in termini di "passività";
  • da un lato è convinta di non avere colpa, dall'altro, crede di sbagliare sempre;
  • è colpita da stress o fenomeni psicosomatici, attraversa fasi di depressione o manie suicide;
  • infine, mostra dei sintomi di malattia, si ammala e si assenta dal lavoro isolandosi, si licenzia.

Per quanto concerne il mobber o l'aggressore, ovvero l'autore del mobbing, è noto che può essere sia un singolo soggetto, sia un gruppo di individui (aggressori); sia un pari grado (mobbing orizzontale), sia un superiore (mobbing verticale). Esistono anche forme di mobbing esercitate dal basso verso l'alto. Ciò induce ad affermare che tuttavia il vero malato è proprio il mobber.

In effetti, tale personaggio apparentemente sfugge a una qualificazione categorica, e mentre la vittima si ammala, perde giorni di lavoro, soffre di patologie, il mobber continua a svolgere tranquillamente la sua attività. Gli studiosi del fenomeno concordano tuttavia su di un punto, il mobber ha una personalità "disturbata" che presenta le seguenti caratteristiche:

  • un profondo sentimento d'insoddisfazione di fronte alla vita, sentito come ineluttabile e che obbliga la persona stessa a tentare di nascondere il suo insuccesso tanto a se stesso quanto agli altri, per non ferire il proprio orgoglio e la propria fierezza;
  • è incapace di diventare un adulto indipendente in grado di gestirsi responsabilmente;
  • ha un ideale di superiorità;
  • non può accettare una relazione autentica, ma solo una parvenza di relazione fondata solo sul potere, dominio e controllo che schiaccia e umilia l'altro;
  • mostra un atteggiamento di critica e di ostilità verso l'ambiente che, in ultima analisi è diretto contro gli altri che sono resi responsabili dell'insuccesso dei piani troppo presuntuosi del malato, per l'appunto (es. "paranoia", delirio di persecuzione) e l'anticipazione dello scopo di superiorità (megalomania).

In questo caso, il conflitto risulta da una valutazione di sé troppo debole e da una sovraestimazione delle esigenze della vita. Questo atteggiamento lo porta a creare l'adattamento della nevrosi o della psicosi. Inoltre, conduce la persona molto facilmente a un arresto davanti alle difficoltà.

Il mobber è, quindi, un individuo che si trova o che fa parte di un "gruppo" subisce, sotto la sua influenza, delle profonde trasformazioni riguardanti la sua attività psichica.

E' bene però precisare che la sua affettività viene straordinariamente esaltata, la sua attività intellettuale notevolmente ridotta, mentre l'esaltazione dell'una e la riduzione dell'altra si effettuano nel senso dell'assimilazione di ogni individuo a tutti gli altri. E quest'ultimo risultato può essere ottenuto solo con la soppressione di tutti i modi d'inibizione propri di ciascuno e con la rinuncia a quanto vi è d'individuale e di particolare nelle tendenze di ciascuno.

Il mobber dunque esprime l'affettività (l'ansia) sul piano del comportamento, e cioè dell'agito, (il passaggio all'atto, o acting-out), per insufficiente incapacità di mentalizzazione.

In sintesi, possiamo dire che l'aggressore è una persona che funziona nel seguente modo:

  • non pensa chiaramente, cioè non usa correttamente le sue capacità mentali;
  • ha accesso ai sentimenti in maniera spropositata;
  • agisce con intenzione danneggiando l'altro.

Si parla inoltre anche di side mobbers con riferimento a coloro i quali, assistendo alle condotte mobbizzanti, preferiscono tacere e assistere impassibili alle vessazioni, diventando complici e assumendo, pertanto, un ruolo importante nella vessazione.

Da un punto di vista psicopatologico, secondo una stima approssimativa di Einarsen i sociopatici rappresenterebbero soltanto il 2-4% dei mobber. Field a proposito dei disturbi di personalità dei mobber ha avanzato l'ipotesi che siano persone con un disturbo antisociale, ma il cui elevato livello intellettivo li porterebbe a compiere azioni non perseguibili legalmente.

Per altri autori l'aggressore è un "narcisista perverso", che ha come caratteristiche fondamentali: la megalomania, la mancanza di empatia, l'irresponsabilità, la paranoia, la vampirizzazione. Per quanto riguarda proprio la vampirizzazione il perverso narcisista gode della sofferenza altrui e che per affermare se stesso deve distruggere e umiliare gli altri. Queste sono peraltro forme semplici.

In quelle più gravi "deliranti", invece, sono presenti patologie psichiatriche con disturbi di personalità fino a veri e propri quadri di "psicosi paranoidea". Tali personaggi sviluppano un piacere appagante nel ferire e nell'aggredire; è certamente uno "psicotico senza sintomi" che trova il suo equilibrio scaricando su un altro il dolore che non è capace di sentire e le contraddizioni interne che rifiuta di prendere in considerazione: questo transfert del dolore gli permette di valorizzarsi a spese dell'altro.

Si sviluppa, così, una carica di intensa aggressività che si può caratterizzare come una condotta posta in essere con l'intento precipuo di rimuovere e superare qualsiasi situazione che minacci gravemente l'integrità e la posizione funzionale del "mobber" nel proprio ambito lavorativo.

A questo punto appare chiaro come l'aggressività diviene allora solo un mezzo comportamentale per raggiungere specifici finalismi. Di fatto, le motivazioni di chi promuovere l'aggressione consistono nell'indebolire la condizione operativa del soggetto prescelto (aggredito o vittima), a squalificarlo, fino a ottenerne il licenziamento.

Individuazione delle principali cause e conseguenze del mobbing

A questo punto, una nota di cruciale importanza per la comprensione e prevenzione del mobbing, è peraltro rappresentato dalla conoscenza delle cause che permettono appunto il nascere di questo fenomeno.

La maggior parte degli autori ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo della conoscenza sulle cause del mobbing. Infatti, esiste una serie di innumerevoli possibilità (es. sovraccarico di impegni, responsabilità a cui deve prestare attenzione, ecc.) per cui un lavoratore potrebbe subire aggressione o violenza sul posto di lavoro, in questo caso, inoltre, potrà molto più facilmente percepire i sintomi dello stress.

Un contributo molto valido sulle cause del mobbing ci viene da Ege, che nella sua ricerca basata sul sistema "a cubo" delle cause, che consiste in un parametro d'indagine dell'interazione attiva e passiva, intenzionale e inconsapevole tra mobber e mobbbizzato, contestualizzato all'interno dell'ambiente in cui si svolge la suddetta interazione, approfondisce tre fattori, come sintetizzati nella Tabella 3: il comportamento (o la reazione) del mobber che lo porta a perseguitare la sua vittima probabilmente a causa del suo carattere cinico o sadico, il comportamento (o la reazione) della vittima verso il mobber e, infine, l'ambiente di lavoro (organizzazione, altri colleghi, ecc.). Ognuno di questi fattori può agire favorendo il mobbing oppure provocarlo direttamente.

Tabella 3. I tre tipi di fattori o cause che concorrono nello sviluppo del mobbing:

  • legate alla personalità sia del mobber che del mobbizzato: il mobber è egoista, ambizioso e incapace di relazionarsi, il mobbizzato è spesso ipersensibile e insicuro;
  • legate all'organizzazione: vi è sempre una disfunzione organizzativa, un'incapacità dell'azienda di intervenire, e di sedare un eventuale conflitto;
  • cause microsociali: spesso i contesti sono altamente competitivi.

Finora abbiamo cercato di dare una descrizione quasi dettagliata delle cause del fenomeno mobbing, ora vediamo quali sono invece i risvolti psicologici e sociali di tale fenomeno. Come abbiamo appena visto, la presenza di forte aggressività sul posto di lavoro può portare a conseguenze molto gravi. Evidenze cliniche dimostrano come queste conseguenze possono essere ricondotte a tre livelli: a livello personale, di gruppo e organizzativo.

I primi effetti derivanti da situazioni mobbizzanti sono osservabili sulla salute psico-fisica delle persone coinvolte: ovvero sulla vittima (il mobbizzato), come facilmente intuibile, ma anche sull'aggressore (il mobber). In particolare, le maggiori conseguenze negative per la vittima riguardano proprio la sua sfera esistenziale. Infatti, le iniziative di aggressione psicologica comportano per le vittime del "mobbing" una serie di danni alla salute che consistono usualmente in:

  • sintomi psicosomatici, quali insonnia, mal di testa, disturbi digestivi (gastrite, ulcera, colon irritabile, ecc.), disturbi cardiovascolari (tachicardia, cardiopalmo, senso di oppressione, ipertensione, ecc.), disturbi tiroidei, pruriti e allergie, dolori osteoarticolari ecc.;
  • sintomi psicologici, quali stress, perdita dell'autostima, depressione, ansia, attacchi di panico (DAP) fobie, disturbi dell'attenzione e della concentrazione, rabbia che talvolta può sconfinare nel tentativo di suicidio (nella percentuale del 15% secondo studi condotti in Svezia), o più raramente, nell'aggressività verso altre persone;
  • conseguenze nella sfera socio-relazionale, quali l'isolamento, la perdita degli amici, difficoltà nei rapporti interpersonali (in particolare, problemi gravi con la famiglia, con il partner, ecc.). Si tratta, come si può osservare, di una serie di sintomi che incidono prevalentemente sullo stile di vita e il comportamento del soggetto che inevitabilmente viene modificato.

Inoltre, c'è chi ricorre a sostanze quali alcool, stupefacenti, farmaci ansiolitici o antidepressivi, fino ad abusarne sviluppando forme di dipendenza patologica.

A tal proposito, possiamo affermare che alcune ricerche condotte all'estero hanno dimostrato che il mobbing può portare a un danno psichico o psicofisico permanente, tale da causare l'invalidità psicologica, e che quindi si può parlare anche di "malattie professionali" o di "infortuni sul posto di lavoro".

Occorre, inoltre, escludere ai fini della diagnosi differenziale la presenza di sindromi e disturbi psichici riconducibili a patologie d'organo, all'abuso di farmaci e all'uso di sostanzestupefacenti, come suddetto; e di sindromi psicotiche di natura schizofrenica, sindrome affettiva bipolare, maniacale, gravi disturbi della personalità.

Ma il mobbing non è solo questo. Oltre alla conseguenze negative per la sfera esistenziale della vittima, che come si è visto, possono arrivare a essere gravissime, il mobbing può danneggiare anche il gruppo di lavoro e le organizzazioni. A livello di gruppo di lavoro le conseguenze consistono principalmente nel deterioramento del clima lavorativo e della qualità del lavoro svolto.

Infine, anche l'organizzazione subisce conseguenze negative. In effetti, la vittima del mobbing diventa progressivamente meno produttiva (taluni autori hanno stimato il 50%) e anche i mobbers, dedicano parte delle loro energie a pensare e attuare gli atti vessatori, rendono senz'altro di meno all'azienda. Per maggiori informazioni a riguardo vedi la Tabella 4.

Tabella 4. Esempi di danni all'organizzazione.

  • calo e/o deterioramento del livello di produzione,
  • costi sostenuti per malattie del dipendente,
  • ripercussioni sull'immagine esterna,
  • diffusione di un modello conflittuale,
  • ulteriori costi per le organizzazioni o aziende possono derivare dalle possibili azioni legali e richieste di risarcimento da parte dei mobbizzati.

Quali misure di intervento e di prevenzione attuare per combattere il mobbing?

Di fronte ai rischi derivati dalla condizione di "malattia" causata dal mobbing, si possono indicare, sia pure brevemente alcuni interventi che sono in grado di ridurre e/o prevenire il peso psicologico e gli effetti dell'aggressione sul posto di lavoro. Pertanto, esistono tanti modi di affrontare il problema, tanti quanti sono i casi di mobbing e quante sono i contesti in cui si manifesta.

Iniziamo con le strategie di difesa, meglio note con il termine coping behaviour. Per coping s'intende, come descritto da Lazarus e Folkman, all'insieme degli sforzi comportamentali e cognitivi in continuo cambiamento, attuati dall'individuo per gestire le richieste specifiche interne e/o esterne valutate come gravose o superiori rispetto alle risorse possedute. In questo modo, si possono minimizzare, evitare, tollerare e accettare le condizioni stressanti e anche cercare di controllare l'ambiente. Queste strategie complimentano quindi tutte quelle azioni che vengono messe in atto per impedire che la situazione domini il soggetto. In altri termini, i meccanismi di difesa vengono attuati dalle persone per difendersi dalle condizioni situazionali percepite come disagio.

Naturalmente, nei casi di mobbing, l'intervento è sicuramente necessario per due ragioni fondamentali: da un lato, aiuta la persona nel combattere il proprio malessere; dall'altro, consente che l'azienda effettui dei notevoli risparmi in termini di costo del lavoro. In particolare, gli interventi individuali comprendono la psicoterapia, basilare soprattutto quando, come abbiamo precedentemente illustrato, insorgono quadri psicopatologici; le tecniche di Rilassamento, le tecniche di potenziamento dell'assertività, mezzi che permettono alle vittime di controllare la loro ansia; inoltre, è utile fornire alcuni meccanismi di difesa, come il saper ricordare che la vita è altrove, fuori dell'ambito lavorativo. A questo scopo è importante praticare sport e coltivare hobby, avere interessi sociali, amicizie, ecc. Inoltre, i gruppi di auto-aiuto (self-help) aiutano a comprendere che la malattia e il disagio che vivono le vittime di mobbing non sono solo un limite, ma possono diventare risorsa per sé e per gli altri. In pratica, questi gruppi offrono sostegno morale ed emotivo ai mobbizzati, attraverso lo stare insieme, essi condividono una particolare condizione problematica e insieme cercano di superarla. Esistono, poi, anche interventi mirati all'organizzazione: è importante che nell'organizzazione del lavoro si eviti di caricare la singola persona o di creare conflitti di ruolo.

Altro modo di reagire al mobbing consiste proprio nella prevenzione, che è particolare quando si sa riconoscere il fenomeno, in quei posti di lavoro, in prevalenza dove più esistano i fattori predisponesti e di rischio mobbing, proprio per evitare che questo possa iniziare. In realtà, si ritiene che la prevenzione del mobbing sia un elemento chiave se si vuole migliorare la vita lavorativa ed evitare l'emarginazione sociale.

Infine, si può dire che fare un'adeguata formazione e in-formazione consente di rendere consapevoli le persone del fenomeno, in modo che queste sappiano riconoscerlo nel caso in cui comincino a provare l'esperienza e, in più, far prendere coscienza dei danni (anche permanenti) che si possono ricevere o causare sia a livello aziendale che personale.

Conclusioni

Per concludere, riteniamo che quanto fin qui esposto possa costituire un invito ad approfondire la conoscenza dei fattori di rischio delle azioni aggressive o vessatorie sul posto di lavoro, vale a dire i cosiddetti "fattori trasversali", in particolare, psicologici e sociali, in modo da far riflettere sul fatto che il mobbing non sia un fenomeno irreversibile, ma sul quale si può lavorare per combatterlo e prevenirlo. In tal senso, la prevenzione è centrale e fondamentale per permettere alle persone coinvolte di difendersi, ma soprattutto per rendersi conto di ciò che gli sta accadendo e, allo steso tempo, consentire il diffondersi nelle coscienze della consapevolezza che il mobbing, appunto, è un malessere sociale che può e deve essere debellato.

Auspichiamo, una volta per tutte, che questo lavoro apra delle prospettive interessanti sul piano della prevenzione, della diagnosi e sulle metodologie d'intervento nel caso, ad esempio, di situazioni in atto.

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Il Mobbing come patologia dell'epoca moderna

di Manuela Lorio

Introduzione

Come sostenuto nel mio precedente articolo, che aveva come oggetto l'aggressività in un piccolo gruppo di lavoro, la violenza e l'aggressività nella società umana è una componente da sempre presente, e a oggi può anche esprimersi in modo a volte subdoli e sommersi.

Nella società attuale, che privilegia l'apparire, che evidenzia e premia comportamenti prevaricatori, trascurando di fatto la dirittura morale, è normale che nelle aziende di lavoro, già teatro di comuni ed accettate fonti di stress che derivano dalle interrelazioni forzate, dalle dinamiche del gruppo, dalle aspettative di carriera, si possono rilevare comportamenti che travalicano i limiti della correttezza e qualche volta anche quelli della legalità.

Inoltre, soprattutto oggi, al lavoratore è richiesto di adattarsi rapidamente alle sfide poste dalle nuove tecnologie e a svolgere mansioni sempre più varie, se necessario proprio cambiando mansione sulla base delle scelte aziendali e dalle indicazioni del business. Flessibilità, riorganizzazione, prolungamento dell'orario di lavoro reale sono solo alcuni dei fattori che stanno influenzando profondamente il mondo del lavoro, soprattutto nei contenuti e nelle modalità di relazione tra i suoi attori. Stress, mobbing, costrittività organizzative, sono fenomeni relativamente recenti per rappresentare situazioni per altro non recenti in grado di generare malessere negli individui, interferendo negativamente con le loro possibilità di creare relazioni interpersonali proficue e gratificanti. E' soprattutto dalla distorsione della relazione tra le figure coinvolte con ruoli diversi nei processi lavorativi che possono scaturire situazioni di disagio psichico.

Dopo aver delineato il fenomeno del mobbing tra definizioni e effetti sulle vittime, mi soffermerò sull'analisi delle organizzazioni lavorative, e incentrerò il mio discorso su ciò che rappresenta la tesi del mio articolo, ossia il vedere il mobbing come patologia dell'epoca moderna seguendo la teoria di Massimo Recalcati sulla cosiddetta "clinica del vuoto" e la massiccia identificazione ai "ruoli" che spesso la società stessa ci impone. Collegherò il mio discorso alla "Persona" così come intesa da Jung, alla maschera, identificazione che, se troppo massiccia spingerebbe a chiudersi sempre più in se stesso, perdendo la propria vera identità. Potremmo invece ritenere magari il soggetto vittima di mobbing come colui per cui è impossibile rinunciare alla propria individualità a favore di una soggettività diffusa che si muove su un appiattimento della relazione con l'altro. D'altro canto il mobber e la stessa organizzazione potrebbero essere visti nell'ottica di una totale identificazione al proprio "ruolo" così come imposto dalla società, talmente identificato da vedere l'altro, il diverso come un terribile nemico, e ostacolo all'immagine perfetta che di lui si è creato.

Il mobbing: definizioni e conseguenze

L'esperienza del mobbing è stata classificata come una sorgente di stress sociale sul lavoro e come il problema più paralizzante e devastante per i lavoratori rispetto a tutti gli altri elementi stressori correlati al lavoro. La reiterazione ed il protrarsi nel tempo della molestia morale e psicologica comportano nella maggioranza dei casi la riduzione dello stato di salute e di benessere complessivo della persona vessata.

Mobbing deriva dal verbo inglese "to mob"; è l'aggressione sistematica posta in essere dal datore di lavoro, dal suo preposto o superiore gerarchico oppure anche da colleghi o compagni di lavoro con chiari intenti discriminatori e persecutori, tesi ad emarginare progressivamente un determinato lavoratore nell'ambiente di lavoro, e ad indurlo alle dimissioni. Le forme che il mobbing può assumere sono molteplici: vanno dalla semplice emarginazione alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla sistematica persecuzione, dall'assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell'immagine sociale nei confronti di clienti e superiori. Nei casi più gravi si può arrivare al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali.

Lo scopo del mobbing è sempre quello di eliminare una persona che è, od è divenuta in qualche modo scomoda, distruggendola psicologicamente o socialmente in modo da provocare il licenziamento o le dimissioni.

Il termine fu introdotto nel 1961 dall'etologo Konrad Lorenz, per rappresentare una tipologia di comportamenti osservabili nel mondo animale, tesi ad escludere un membro del gruppo.

Nel 1972 il medico svedese Heinemann utilizzò il termine mobbing come sinonimo di bulling, in una ricerca sull'aggressione a singoli bambini da parte di gruppi di coetanei.

Più recentemente lo psicologo Leymann definì il mobbing nell'accezione attuale: una comunicazione ostile e contraria ai principi etici perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa, e qui costretto a restare da continue attività ostili.. Leymann per spiegare il fenomeno del mobbing propone un modello a quattro fasi:

  • Fase 1, detta dei segnali premonitori si basa sul presupposto che il conflitto nasce normalmente n tutti i posti di lavoro, a causa di scontri di caratteri, di opinioni e di abitudini diverse, a causa di invidia o competizione. Tale conflitto è latente perché non viene ancora esplicitato da nessuna azione o frase. Esso diviene mobbing solo se non viene risolto se comunque diviene continuativo per almeno sei mesi.
  • La fase II, o fase conclamata, prevede l'inizio del mobbing vero e proprio e del terrore psicologico, il conflitto quotidiano matura e diviene continuativo. Vengono definiti e cristallizzati i ruoli di mobber e di vittima. Il/la mobber agisce in modo sistematico ed intenzionale con strategie persecutorie ed il soggetto mobbizzato subisce la stigmatizzazione collettiva.
  • Nella III fase il caso è ufficializzato e si verifica nel momento in cui il mobbing trascende i limiti dell'ufficio in cui è nato e diventa di dominio pubblico. La vittima comincia ad accusare problemi di salute e si assenta ripetutamente dal lavoro per malesseri o visite mediche. Inoltre manifesta un calo di rendimento così da dare il via ad indagini da parte dell'Amministrazione del Personale. Quest'ultima può arrivare a considerare l'elemento dannoso e dispendioso per l'azienda e decidere di eliminarlo anche attraverso azioni non propriamente legali, con l'obiettivo di portarlo alle dimissioni spontanee.
  • La IV fase, considerata la fase terminale, prevede l'esclusione della vittima dal mondo del lavoro, o per licenziamento o per dimissioni. Il mobbing ha raggiunto il suo scopo, cioè eliminare la vittima.

Si può parlare di mobbing quando la comunicazione tra i due soggetti del conflitto è indiretta, distorta, subdola e mette la vittima in una condizione di impossibilità di difendersi in modo adeguato. E' un'azione sviluppata nel tempo che mira a mettere uno o più lavoratori in una condizione di forte disagio. Può comportare effetti sulla possibilità della vittima di mantenere la sua reputazione personale; effetti sulla salute fisica della vittima, effetti sulla possibilità della vittima di mantenere contatti sociali.

Eventi che si registrano in casi evidenti di mobbing sono:

-demansionare in modo formare o solo di fatto;

-marginalizzare il lavoratore fino al punto di metterlo in condizione di totale inoperosità;

-costruire ad arte incidenti mirati a rovinare la reputazione della vittima;

-discriminare sulla carriera, sulle ferie, l'aggiornamento, la prestazione del lavoro, il carico e la qualità del lavoro;

-negare diritti contrattuali;

-utilizzare atteggiamenti ostili, offensivi o di squalifica fino alla diffamazione vera e propria;

-isolare dal contatto con gli altri operatori;

-utilizzare in modo esasperato ed esasperante il potere di controllo e l'azione disciplinare.

L'esperienza del mobbing è assimilabile a un profondo trauma emotivo.

Il sovvertimento delle regole implicite o esplicite su cui si fonda la relazione lavorativa, la distorsione della comunicazione, la frustrazione di ogni tentativo ragionevole di sviluppare il conflitto producono nella vittima un vissuto di grave pericolo e l'incapacità di processare cognitivamente l'evento. Il mobbing ha effetti devastanti sulla persona colpita; essa viene danneggiata psicologicamente e fisicamente, menomata dalla sua capacità lavorativa e dalla fiducia in se stessa.

I soggetti mobbizzati mostrano alterazioni dell'equilibrio socioemotivo, alterazioni dell'equilibrio psicofisiologico e disturbi a livello comportamentale. La clinica psichiatrica ci dice che la vittima del mobbing può andare incontro ad una profonda alterazione della personalità, nonché ad un isolamento sociale progressivo con cui tenta di evitare il ripetersi degli episodi di vittimizzazione. In sostanza, le vittime di mobbing vanno incontro ad una crisi che è innanzitutto esistenziale, nel senso che la perdita del ruolo di lavoratore mina profondamente le fondamenta dell'identità personale e la propria autostima.

Il lavoro è uno degli elementi centrali della vita non solo perché costituisce una parte consistente dell'esistenza, ma perché assume grande rilievo a livello personale e sociale, rappresenta un'attività che può portare ad acquisire prestigio personale sia da un punto di vista monetario che da quello sociale. Appare chiaro quindi che quando il lavoratore si trova ad essere oggetto di condotte pregiudizievoli della propria posizione e/o della propria persona si venga a trovare in una situazione doppiamente difficile e potenzialmente letale. Infatti si trova in condizioni di perdere alcuni dei propri riferimenti basilari della vita, la propria immagine, il proprio ruolo lavorativo, con tutti i rischi che questo comporta. Il lavoro, nella nostra società coincide con l'identità personale e professionale, e con l'appartenenza alle organizzazioni. A livello emotivo il lavoro ha una funzione operativa in cui ogni cambiamento risulta collegato all'ansia e alle resistenze da essa causate.

In senso ampio, il mobbing descrive un processo di degenerazione dei rapporti interpersonali che si manifesta mediante comportamenti ostili sia palesi che occulti di aggressione, persecuzione, vessazione, violenza psicologica nei confronti di uno o più soggetti.

Inizialmente, gran parte del disagio sia emotivo che fisico è dovuto allo stato di confusione in cui il soggetto viene a trovarsi e alla progressiva scomparsa di tutti i riferimenti oggettuali e sociali che prima regolavano la loro vita all'interno dell'azienda. Ne consegue uno stato di incertezza, paura di sbagliare, bisogno di aumentare i controlli che, se all'inizio non incidono sulla qualità della vita e del lavoro, fanno sentire la persona non più adeguata e all'altezza della situazione. Quando anche le prestazioni scendono, l'autostima del soggetto è compromessa e si entra in un circolo vizioso di progressivo deterioramento della qualità della vita e del lavoro. Questo stato di confusione viene proiettato anche all'esterno dell'azienda, in particolare in ambito familiare per la polarizzazione cognitiva sempre più massiva e inibente sulle problematiche del lavoro. E' anche alla base di reazioni di insofferenza e di intolleranza perché qualunque situazione interferente anche di lieve entità diviene la sensazione di incapacità di gestire la realtà quotidiana. Ciò può avere come conseguenza anche il deterioramento dei rapporti interpersonali all'interno della famiglia.

Ci accorgiamo di essere di fronte ad una situazione di mobbing quando si verifica un'escalation emotiva che amplifica i comuni sentimenti di ciascun individuo (rivalità, gelosia, antipatia, diffidenza, paura) costringendo i diretti interessati all'interno di una relazione malata i cui effetti nefasti si estendono a tutta l'organizzazione. Il fenomeno, quindi, in ultima analisi rappresenta una forma di fallimento che potrebbe essere evitato se da un lato i modelli di organizzazione favorissero lo sviluppo di competenze relazionali e se dall'Altro gli individui acquisissero più consapevolezza e competenze nella gestione della dimensione emotiva.

Ed è qui che entra in gioco il ruolo delle organizzazioni stesse.

Il ruolo delle organizzazioni lavorative nel favorire od ostacolare il mobbing

Winnicott sostiene che nell'ambito delle organizzazioni lavorative deve essere condiviso un ambiente facilitante come spazio transizionale.

Nell'ambito delle organizzazioni lavorative si instaurano procedure relazionali di mobbing, disagio psicologico diffuso all'interno delle istituzioni, ricatto morale, dinamiche seduttive e molestie psicologiche latenti, forme di depersonalizzazione che conducono il personale ad una morte psicologica delle potenzialità operative, e ad un appiattimento conscio e inconscio delle abilità sociali che portano ad una tensione psicoemotiva lacerante negli individui, a livello di processi relazionali di tipo informale, inconscio e irrazionale, in zone d'ombra latenti orientate a necessità emotive.

In ogni scenario organizzativo si muovono due rappresentazioni: una è legata alle finalità aziendali e ai ruoli che sono richiesti di perseguire; l'altra è legata alla storia e alla dinamica di relazione degli attori che rivestono e interpretano i ruoli. All'interno di ogni struttura organizzativa e delle sue regole finalizzate (obiettivi, mercato, struttura, ruoli, risorse, procedure, tecnologie informatiche) tese a orientare il viaggio, si muovono inevitabilmente le passioni relazionali dei lavoratori. Roberto Vaccani parla di copione aziendale e copione antropologico.

Se il "copione aziendale" prende significato ultimo dalla finalizzazione di ruoli, competenze professionali e risorse, regole organizzative e rispetto alla produzione di beni o servizi, il "copione antropologico" sollecita prevalentemente le intelligenze emotive, e trae significato dalle dinamiche storiche di convivenza degli abitanti dell'organizzazione. Tali dinamiche sono cariche di valenze e pulsioni emozionali espressi dagli attori, maturate in ragione della loro relazione e non necessariamente coerenti con le parti (ruoli) che agli attori organizzativi sono richieste di recitare nel copione aziendale.

Il copione antropologico non è facilmente percepibile da atti pubblici, formali, espliciti; non usa un vocabolario alfabetico e numerico. Si esprime più sottotraccia, nell'informalità, nell'implicito, attraverso semantiche legate ad atti, indizi, testimonianze non verbali.

Non si declina sulla logica degli obiettivi di mercato, delle competenze, dei manuali organizzativi, dei margini del fatturato, dell'efficacia e dell'efficienza. SI incardina sulla memoria storica del gruppo aziendale, sulle appartenenze generazionali, sulle dinamiche relazionali, sugli odi personali e sulle cordate di potere esercitate dai capi. Nel retroscena dei copioni aziendali si muovono i repertori di comportamento implicito, gli usi, i costumi, le credenze, i valori ratificati dalla routine consolidata storicamente.

Tutte le azioni e soprattutto le sensibilità percettive diffuse che le aziende più attente alla gestione del capitale umano promuovono sono dettate dall' attenzione al clima relazionale, allo spirito di appartenenza, e sono tese a mettere in sinergia il copione aziendale con il copione antropologico. Nelle aziende che riescono a soddisfare tale obiettivo esiste un'implicita prevenzione dei problemi di mobbing legata al clima di trasparenza al sistema relazionale aperto e negoziale, all'esplicitazione e gestione dei conflitti personali e professionali.

Quando in un sistema organizzativo prevale il copione aziendale a discapito del copione che risulta povero di significato, le prestazioni complessive risultano professionalmente adeguate, ma vuote di energia vitale e motivazionale. In questi casi le competenze vengono erogate senza essere supportate da afflati emotivi. In tali situazioni è chiaramente constatabile quanto le competenze ben organizzate rappresentano una precondizione irrinunciabile per un'organizzazione, ma la forza motivazionale legata all'appartenenza si mostra come fattore vincente, come riserva di potenza in grado di vivificare di energia positiva e personalizzante tutti gli altri organizzativi.

Inoltre, tutte le diverse tipologie di relazione nelle organizzazioni lavorative presentano zone d'ombra in quanto si evolvono tramite processi relazionali di tipo informale, inconscio e irrazionale.

In risposta al mobbing, il modello Tavistock studia il funzionamento delle istituzioni umane attraverso matrici teoriche che spaziano dalla teoria psicoanalitica a Bion, alla teoria dei sistemi aperti, entrambe finalizzate all'aiuto consulenziale per le organizzazioni lavorative in difficoltà. Questo modello teorico presenta un valore euristico di ricerca, formazione, diagnosi e consulenza, aspetti che confluiscono in una teoria clinica dell'organizzazione tramite un apprendimento di tipo esperienziale. Il modello Tavistock presenta modalità di ricerca e azione, istigando nelle persone la consapevolezza della natura dei problemi, evidenziando i punti di forza e i punti deboli, tramite un esame della realtà circostante. Si basa sull'ascolto finalizzato alla comprensione dei bisogni in una ridefinizione complessiva di tipo umanistico dell'organizzazione, che deve implicare un capo, un manager, con competenze emotive e che sappia gestire la complessità e sensibilità dell'assetto emotivo attraverso la capacità di gestire le emozioni.

Informazione, prevenzione, formazione sulla gestione del mobbing e del conflitto sulla tutela della sicurezza, il monitoraggio delle modalità di gestione, una chiara politica aziendale. Le azioni preventive dovrebbero essere parte integrante del governo delle risorse umane, oltre che rientrare nelle strategie di gestione dei rischi psicosociali. Acquisire una conoscenza approfondita della situazione e del suo evolversi, così come avviare una fattiva collaborazione tra le parti in causa, sono azioni indispensabili per l'agire organizzativo. Giungere a percepire il punto di vista dell'altro non più come minaccia, ma come opportunità di crescita e di arricchimento personale. Come ricorda Ege, la "cultura del litigio"consiste in un percorso formativo articolato in sessioni d'aula e momenti esperienziali dove imparare a gestire meglio le proprie risorse, sperimentando nuove strategie di confronto e mediazione, dove imparare a gestire il conflitto.

Anche per altri autori è fondamentale intervenire a livello di formazione e di prevenzione sulle organizzazioni stesse, per imparare a gestire i conflitti, per imparare a considerare anche il punto di vista dell'altro, per riempire un vuoto di valori e di esperienze che, come espliciterò meglio più avanti, coinvolge sia le organizzazioni lavorative che la società stessa.

Maschera, Persona e identificazione al ruolo come causa di mobbing

Nell'introduzione parlavo di identificazione al ruolo e abbiamo appena visto come il ruolo sia alla base del cosiddetto copione aziendale. Approfondiamo questo concetto, partendo da ciò che il ruolo permette.

Il ruolo consente il riconoscimento dell'individuo nell'ambito della struttura sociale ciò che gli altri individui si aspettano da lui e la sua collocazione nella scala gerarchica. Il ruolo definisce i limiti entro cui muoversi e i compiti a cui ci si deve attenere per svolgere la funzione richiesta. Le definizioni di ruolo sono molto utili socialmente, regolano i nostri rapporti di lavoro e le interazioni più superficiali. Questo aspetto più epidermico della personalità è chiamato da Jung Persona, un termine latino che indicava originariamente la maschera indossata dagli attori. La Persona caratterizzava l'attore con precise fattezze somatiche, che corrispondevano alla parte impersonata nel dramma; inoltre ne amplificava anche la voce. Jung definisce la Persona come un segmento dell'inconscio collettivo; la Persona non è identificabile con l'intera personalità. La nostra dimensione umana è spesso molto diversa dal ruolo che siamo costretti a rivestire, e che pure è indispensabile per svolgere alcune funzioni sociali.

La Persona risponde al bisogno di adattamento sociale e rappresenta un'istanza che investe contemporaneamente la componente individuale e quella collettiva. In essa rientrano le modalità comportamentali che l'individuo assume sul piano dell'esteriorità che l'individuo delimita il proprio spazio psichico e lo definisce in rapporto all'esterno. Si potrebbe paragonare alla maschera che l'attore indossa sulla scena, grazie alla quale interpretare il personaggio nella maniera più fedele possibile.

La società esige che ciascuno di noi faccia la sua parte. Assumere un ruolo sembra essere una necessitò inderogabile almeno nella società occidentale. La Persona è dunque strumentale nella misura in cui permette una mediazione tra il singolo e il mondo esterno, e promuove l'adattamento. Quando interagiamo con un estraneo, in genere usiamo la Persona, dando luogo a tutta una serie di regole e di comportamenti attinenti al ruolo idoneo in quel contesto, il che semplifica i rapporti con il nostro interlocutore.

Tuttavia, il rischio sempre presente è che l'Io si identifichi con la Persona, portando il soggetto ad appiattirsi completamente e, in definitiva, nel pensiero collettivo. In tal modo si perde l'identità personale e si comprime la propria ricchezza umana nei limiti di un etichetta. Una rigida identificazione con la Persona comporta l'unilateralizzazione della personalità, tutta centrata sui valori collettivi, mentre vanno in ombra quelle componenti che sono incompatibili con la Persona stessa, provocando un grave depauperamento, non solo nella struttura psicologica ma anche nella fruibilità della vita.

Questo discorso, fondamentalmente, può essere ricondotto anche alla strutturazione di un falso Sé, teorizzato da Winnicott, un sé ideale, piegato agli ideali culturali correnti e dimentico del suo desiderio.

La molestia sul luogo di lavoro è favorita dall'instabilità del clima lavorativo, a sua volta connessa alle nuove forme di organizzazione del lavoro, imperniate sullo slogan della flessibilità e acquisizione infinita di competenze che impongono nel sociale e dal sociale l'imperativo di agire e produrre, in tal modo rendendo soggetto lo stesso individuo che perciò è costretto a rinunciare all'umanità di se stesso.

Ciò che avviene in questo genere di condizioni, è che un singolo individuo viene identificato da un altro individuo in grado di coalizzare intorno a sé altri soggetti, come causa di qualcosa che è percepita come diversità e disagio. Di che cosa, fondamentalmente, è accusato questo individuo? Una possibile causa può essere proprio l'impossibilità di uno specifico soggetto a rinunciare alla propria individualità a favore di una soggettività diffusa che si muove su un appiattimento della relazione con l'Altro.

Il perpetratore della molestia si pone come soggetto onnisciente e onnipotente nei confronti della vittima.

Hirigoyen sottolinea come la relazione perversa in ambito lavorativo comporti l'esercizio di un aspetto di violenza e controllo da parte del perpetratore, mentre la vittima si trova nella condizione dell'evitamento fobico dell'incontro con il persecutore, o dalle situazioni che possono scatenare la persecuzione, oppure nella condizione del passaggio all'atto violento a scopo difensivo, quale la lite violenta, la crisi di agitazione, l'assentarsi frequente a causa dello stress provocato dalla situazione di persecuzione.

Un altro modo di interpretare le cause del mobbing è quello che vede il soggetto mobbizzato come il capro espiatorio.

Thomas Szasz, nel suo lavoro "Il mito della droga" cita un mito arcaico. Nell'antica Grecia, una volta all'anno il popolo ateniese usava scegliere e mandare a morte uno schiavo per ingraziarsi gli dei. Questo schiavo era chiamato Pharmacos: rimedio, quindi salvatore, ma anche veleno, quindi malefico, funesto: insomma guaritore ed avvelenatore. Il Pharmacos aveva una funzione fondamentale per la comunità, era la spugna che assorbiva lo sporco, il male diffuso nel gruppo, che con lui veniva annientato.

Possiamo considerare i mobbizzati come i nuovi Pharmacoi delle istituzioni lavorative. Ogni tanto, nei gruppi di lavoro qualcuno per motivi ogni volta diversi e sempre complessi viene messo in mezzo e fatto fuori: è come se il gruppo chiedesse a qualcuno di sacrificarsi, e lo spingesse ad offrirsi, a esporsi. Questo accade particolarmente in alcuni momenti topici della vita di un gruppo, quando per esempio il gruppo si trova in una condizione interna destabilizzante, di crisi, di rottura, di cambiamento avvertito come catastrofico. Allora riemergono potentemente nel campo del gruppo elementi destruenti.

Le possibili cause di tensione emotiva in un gruppo all'interno di un contesto lavorativo possono essere varie: cambia il capo, ci sono avvicendamenti al vertice, va via o entra un membro, c'è un conflitto tra un capo istituzionale e uno emotivo. La persona mobbizzata diventa capro espiatorio di una realtà patologica, e offre al gruppo lo sbocco a una tensione insostenibile, o la via di uscita a una paralisi.

Il mobbing funzionerebbe cioè come una sorta di malattia autoimmune, dove il corpo/gruppo attacca una parte di sé perché non la riconosce più come propria. E così, come nella malattia autoimmune il corpo attaccando parti di sé si debilita, riduce le sue risorse e può ammalarsi anche gravemente, allo stesso modo una struttura lavorativa, un azienda, attaccando le proprie risorse si distrugge. Ritualmente, in un processo che si autoperpetua, si avvia un crescendo perverso a corto circuito dove uno fa fuori l'altro, e l'espulsione sembra attivare ogni volta processi di rinnovamento del gruppo.

L'aggressione comincia in maniera subdola per farsi via via più aperta e ristretta, passando da manifestazioni episodiche appena accennate di attacco, a forme chiaramente ostili, pervenendo a isolare progressivamente la persona fino alla sua completa esclusione dal posto di lavoro.

Ma al fondo di tutto il male causato nel mobbing è riscontrabile Il male come vuoto di pensiero, e perciò inconsapevolezza del significato delle proprie azioni, l'assenza di contatto con la propria vita interiore, è vuoto di relazione come totale ripiegamento su se stessi, è in definitiva l'incapacità di pensare e quindi di agire se non nei ristretti limiti dell'osservanza di morte e codici precostituiti in maniera acritica.

L'esperienza del vuoto è un'esperienza di reificazione, di riduzione, di congelamento della mancanza.

Se l'esperienza della mancanza è la matrice del dinamismo del desiderio, della sua funzione di apertura verso l'Altro, verso lo scambio simbolico con l'Altro, quella del vuoto è un'esperienza di annullamento, di ibernazione, di pietraficazione, di cancellazione del desiderio.

La mancanza ridotta a vuoto sarebbe allora una mancanza sconnessa dal desiderio. Il contesto sociale dove si diffondono le forme solide dell'identificazione è caratterizzato da un egemonia dell'adeguamento conformistico ai sembianti sociali e al loro potere di installare pseudoidentità narcisisticamente fragili. L'Altro contemporaneo incentiva l'instabilità strutturale dei legami umani favorendo la liquidità o la cristallizzazione monadica dei legami.

H. Arendt diceva che il male ha il volto della banalità, il volto grigio del burocrate, e proprio per questo è tanto più terribile.

Ecco, dunque che il modo migliore per affrontare il problema è parlare, uscire dal guscio vuoto, entrare in contatto con l'altro, raccontare i propri vissuti. All'epoca dell'università lessi una frase molto bella di Karen Blixen: "Tutti i dolori possono essere sopportati se li mettiamo in una storia, se ne raccontiamo una storia", perché ciò che rende la comprensione possibile è il pensiero che ci riconcilia con la realtà così com 'è; è il pensare, il pensare insieme, che dà un senso alla sofferenza.

Questa trasformazione può avvenire solo come un'esperienza di condivisione, con un attraversamento in gruppo dove possano crearsi le condizioni per sperimentare la nascita di un pensiero, un pensiero che non ci porti né a vivere come se non ci fossero nemici, sarebbe falso, né a vivere imbrigliati nel ruolo di vittime o persecutori.

Introduzione allo stalking: Dallo stalking alla riscoperta dell'Altro

Manuela Lorio

"Scrivere degli avvenimenti quotidiani significa parlare degli uomini e delle loro passioni, dei loro giochi e dei loro amori, delle loro ire e dei loro successi, dei loro ripensamenti e delle loro sconfitte. Guardare alle vicende quotidiane vuol dire guardare sostanzialmente in se stessi e riconoscere i moti del proprio animo, e rendersi conto che nulla di quello che ascoltiamo ci è estraneo, nulla è a priori particolare, nemmeno gesti impossibili, estremi, adirati. Tutto nasce da quel terreno condiviso che ognuno possiede quale retaggio della comune appartenenza al genere umano: i sentimenti, le passioni. E' in essa che ogni comportamento, compresi i delitti quotidiani, trova la sua spiegazione. L'uomo è per definizione quell'animale sociale che non può spiegare i propri gesti se non in rapporto agli altri uomini. In questa luce, la relazionalità sale in primo piano e consente di spiegare, svelare timidamente ciò che soggiace dietro i comportamenti manifesti" (Carotenuto, Il gioco delle passioni, 2001).

Tra i comportamenti patologici connessi alla relazionalità estremamente diffusi nell'attuale società c'è sicuramente lo stalking che, al pari del mobbing trattato in questo stesso numero della rivista rientra nell'ambito di un contesto relazionale patologico. In fondo, sia alla base dello stalking che del mobbing ci sarebbe il considerare l'altro al pari di un oggetto, per spaventarlo, denigrarlo, eliminarlo psicologicamente o anche, in casi estremi, fisicamente.

Il termine stalking descrive un pattern comportamentale volontario e mirato, costituito da una serie di comportamenti persecutori, ripetuti ed intrusivi di sorveglianza, controllo e ricerca di contatto, verso una persona conosciuta o sconosciuta, cui non sono graditi perché fonti di fastidio e preoccupazione per la propria o altrui incolumità (Curci-Galeazzi 2003).

Il termine deriva dal verbo "To stalk" il cui significato è braccare, fare la posta, avvicinarsi di nascosto alla preda. Questa definizione esprime pienamente l'inquietudine e lo stato mentale della vittima che si ritrova ad essere ostaggio psicologico dello stalker.

Lo stalking si caratterizza dunque per la compresenza di alcuni elementi essenziali:

-un autore, lo stalker, mosso da un investimento ideoaffettivo su una relazione reale o immaginata;

-una serie di comportamenti ripetitivi, insistenti e intrusivi finalizzati alla comunicazione, alla sorveglianza e al contatto. A questi si contrappongono le risorse della vittima che, insieme alle azioni dello stalker rappresentano la dinamica relazionale e comunicativa della coppia;

-una vittima che vive in stato di perenne allerta e angoscia per la propria incolumità per la pressione psicologica conseguente alla coazione comportamentale del molestatore e al terrorismo psicologico effettuato.

Tra i tipi di comportamento messi in atto dallo stalker rinveniamo:

-comunicazioni intrusive o comportamenti volti ad avvicinare la vittima e che si concretizzano con l'invio di messaggi relativi ad emozioni, bisogni, intenzioni e desideri legati sia a vissuti di amore sia di odio e vendetta. Vengono messi in atto attraverso telefonate, lettere, messaggi, e-mail. In genere sono rivolti alla vittima ma non è raro il coinvolgimento di familiari, amici, colleghi;

-contatti, si attuano attraverso comportamenti di controllo indiretto e di confronto diretto. Nel primo caso i comportamenti sono finalizzati alla raccolta di informazioni sulla vittima e i suoi mvimenti, tramite pedinamenti, appostamenti, ecc. I comportamenti di confronto diretto prevedono violazioni di domicilio volte soprattutto ad appropriarsi di beni della vittima, visite sul luogo di lavoro, minacce, aggressioni fisiche e sessuali fino ad arrivare all'omicidio;

-comportamenti associati che si realizzano attraverso l'invio di doni anche a tarda notte, atti vandalici contro le proprietà della vittima, ucciderne gli animali domestici, annullare beni e servizi a nome della vittima, bloccare la carta di credito, ecc.

Lo stalker cerca di sottrarre all'altro il potere ed il controllo della propria vita mediante il sistematico isolamento della vittima dalla famiglia, dagli amici e in genere da tutti i sistemi di relazione sociali. Esercita sulla vittima violenza fisica e psicologica.

La violenza fisica comprende l'uso di qualsiasi atto teso a far male o a spaventare la vittima. Essa non riguarda solo l'aggressione fisica grave che causa ferite richiedenti cure mediche, ma anche ogni contatto fisico mirante a spaventare la vittima e a renderla soggetta al controllo dell'aggressore.

La violenza psicologica consiste in una serie di atteggiamenti intimidatori, minacciosi, vessatori di tattiche di isolamento realizzate dalla persona molesta e consiste in ricatti, insulti verbali, colpevolizzazioni pubbliche e private, ridicolizzazioni e svalutazioni continue, denigrazione ed umiliazioni.

La componente psicologica più grave consiste nell'imprevedibilità dell'aggressione.

Un comportamento è definito persecutorio ed insistente quando provoca paura e angoscia nella vittima. Elementi fondamentali, quindi, sono il disagio, la preoccupazione ed il timore della vittima suscitato dalle condotte di stalking

Effetti dello stalking sulla vittima:

E' il vissuto emozionale della vittima e non il contenuto dei messaggi e la tipologia dei comportamenti adottati, che dà effettivamente forma alla dimensione patologica dello stalking.

Le conseguenze dello stalking nell'immediato e a lungo termine, agiscono a 360 gradi sulla vittima a livello psicologico, fisico, relazionale, sociale ed economico. E'un impatto devastante anche per chi è vicino alla vittima.

La vittima può presentare a livello psicologico ed emozionale, sentimenti intensi di impotenza, ansia, paura, rabbia, vergogna e senso di colpa, fino a sviluppare ideazioni suicidarie o veri e propri quadri psicopatologici. A causa del reiterarsi delle condotte persecutorie sulla sfera cognitiva e affettiva oltre alla fisiologica reazione di difesa è possibile riscontrare disturbi di ansia, disturbi dell'umore, disturbi somatoformi e disturbi di adattamento.

Il disturbo di ansia si manifesta in molteplici dei suoi quadri clinici. La presenza di distorsioni cognitive, modifica l'esame di realtà e si trasforma in vissuti carichi di negatività, angoscia esistenziale e difficoltà a progettare il proprio futuro. Tra questi disturbi il più frequente è il disturbo post traumatico da stress, in alcuni casi preceduto da un disturbo acuto da stress.

I sintomi presentati dalla vittima possono essere raggruppati in varie categorie:

  • Sintomi intrusivi: L'elemento traumatico può rappresentarsi attraverso forme diverse: flashback, intense emozioni come panico o rabbia, sensazioni e rappresentazioni somatosensoriali, incubi, ricordi spiacevoli, riattualizzazioni;
  • Sintomi di evitamento degli stimoli o ottundimento: i primi rappresentano tentativi più o meno automatici e consapevoli di evitare persone, luoghi, pensieri e stimoli emozionali associati alla situazione traumatica.
  • I sintomi di ottundimento si manifestano con affettività ridotta, calo di coinvolgimento, sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri, difficoltà a progettare il futuro, sintomi di aumentato arousal.

La persona con Disturbo post traumatico da stress reagisce come se fosse costantemente esposta al pericolo, soffre di ipervigilanza, irritabilità e scoppi di collera inadeguati al contesto. Ha difficoltà ad addormentarsi, a mantenere la concentrazione e l'attenzione.

Le vittime possono sviluppare anche un disturbo dell'umore, nello specifico sono frequenti il disturbo depressivo maggiore e il disturbo distimico per cui il soggetto ha un umore costantemente depresso, accompagnato da insonnia, bassa autostima, sentimenti di disperazione e difficoltà a prendere decisioni.

Può svilupparsi un disturbo di somatizzazione o anche un disturbo somatoforme di tipo indifferenziato. Numerose sono anche le conseguenze nella sfera sociale e relazionale. La vittima si trova costretta a riorganizzare la propria vita stravolgendo il suo stile di vita, le sue abitudini fino a cambiare abitazione.

Interpretazioni sullo stalking

Meloy ipotizza che alla base delle azioni di stalking vi sia una fantasia di legame narcisistico, fantasia caratterizzata da pensieri consci di essere amato, di amare, di condividere il destino con una particolare persona, di essere uguale o complementare a un altro individuo. E' ciò che ognuno di noi sperimenta, sono pensieri alla base del legame affettivo e di per sé non sono un sintomo di patologia.

In caso di rifiuto, di interruzione della relazione, la persona caratterizzata da un funzionamento della personalità stabile ed adattata si ritira a causa dell'oggetto del desiderio che è diventato avverso. Esperirà sentimenti di irritazione, di dolore, ma non verranno intaccate le abilità relazionali che consentono un'interazione socialmente adeguata in altre aree della vita.

Ciò che caratterizza la patologia è la reazione di fronte al rifiuto.

Lo stalker, avendo una struttura di personalità patologica di tipo narcisistico, individua gli altri come estensioni o oggetti del sé, oggetti parziali cui va il compito di gratificare le sue fantasie, che lo rende particolarmente sensibile e vulnerabile in situazioni di rifiuto esponendolo a sentimenti di vergogna ed umiliazione.

La strategia di difesa adottata è la rabbia. L'oggetto che era stato idealizzato perderà la sua connotazione positiva. L'obiettivo diventerà quello di dominare un oggetto che invece di gratificare ha procurato dolore. Lo stalker per evitare emozioni intollerabili dunque si difende con rabbia e svalutando l'oggetto. Quando la vittima è sufficientemente svalutata, l'oggetto reale (che era diventato uno stimolo avversivo a causa del suo rifiuto) può essere rimosso e la fantasia di legame può nuovamente ripristinare l'equilibrio narcisistico del soggetto.

Svalutare l'oggetto, e soprattutto sottoporlo a controllo costante, attraverso comunicazioni e contatti imposti, ristabilirebbe, in chiave persecutoria e agìta, la fantasia di legame indissolubile con la vittima, di potere su di essa.

Secondo questa lettura lo stalking sarebbe un tentativo di difesa dalla ferita narcisistica, un modo di reagire alla fine di un rapporto, al rifiuto da parte dell'altra persona di iniziare una nuova relazione.

Le molestie assillanti avrebbero l'obiettivo di ristabilire il sé grandioso, negando la separazione e la perdita nei confronti di un oggetto continuamente personificato e controllato.

La non accettazione del rifiuto (reale o immaginario) è una delle caratteristiche comportamentali maggiormente riscontrate nello stalker da Gargiulo e Damiani (2008). Paradossalmente lo stalker si percepisce come la sola e vera vittima per essere stato deriso, maltrattato e umiliato.

Altri autori, ad es. Kenlen e collaboratori, riconducono il fenomeno ad una patologia dell'attaccamento: lo stalker ha vissuto la perdita e il cambiamento del caregiver primario durante l'infanzia o la prima infanzia e/o ha subito abusi emotivi, fisici o sessuali. Vi sarebbe dunque un fattore predisponente (l'attaccamento patologico) a cui si aggiunge un fattore precipitante che causa l'avvio dell'azione di stalking: ad esempio la perdita del lavoro, un lutto familiare, la fine di una relazione.

Lo stalker mette in atto i comportamenti molesti e assillanti in quanto incapace di fronteggiare le conseguenze emotive negative dell'evento stressante. Lo stalking sarebbe conseguentemente una strategia di difesa per fronteggiare l'angoscia.

Nicol sottolinea la presenza nella maggior parte dei casi di stalking di un rapporto amoroso, sia esso reale o immaginario: non a caso le due categorie vittimologiche maggiormente a rischio sono i soggetti con cui si è intrattenuta o con cui si intende allacciare una relazione romantica. Secondo l'autore gli stalker soffrono spesso di un disturbo delirante, l'incapacità di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. Tali deliri sarebbero associati a un pensiero paranoico, caratterizzato da un'apparente logica razionale (falsa coerenza) ed è proprio la sensibilità paranoica che determina l'interpretazione di altrui comportamenti ed espressioni in modo del tutto eccessivo e non coincidente con la realtà.

Questa è la condizione in cui si trova l'erotomane: il soggetto è certo che la vittima sia innamorata di lui, anche se la realtà racconta altro.

L'erotomane non accetta di non essere ricambiato: ha bisogno di credere, e quindi si convince che, a dispetto delle apparenze, l'altro provi, o proverà in futuro, amore per lui. Qualsiasi risposta, compresi i maltrattamenti e gli insulti, viene percepito come un segno di incoraggiamento. Per lui l'amore non si fonda sulla comunicazione e sulla reciprocità ma su una fissazione totalizzante.

L'intera vita di uno stalker ruota esclusivamente e in maniera persistente intorno alla propria vittima, e manifesta una serie di pensieri intrusivi e inarrestabili incentrati esclusivamente su di essa. I tratti compulsivi che caratterizzano lo stalker sono individuati nella ripetitività comportamentale (coazione a ripetere), nell'ipercontrollo generalizzato, nella tendenza incoercibile alla morbosità e alla vischiosità.

Inoltre, spesso lo stalking è associato al disturbo borderline di personalità, in cui il problema della separazione e dell'abbandono rappresenta l'elemento centrale. Le persone borderline provano difficoltà a stabilire delle relazioni interpersonali stabili,rispetto alle persone a loro più vicine passano dalla più completa idealizzazione alla svalutazione assoluta. Sul piano emotivo manca un equilibrio e si alternano atteggiamenti rabbiosi ad altri del tutto remissivi e accomodanti. Queste persone manifestano anche degli importanti disturbi dell'identità: avvertono cioè un profondo senso di vuoto interiore e per sentire di esistere hanno costantemente bisogno di avere al proprio fianco qualcuno che le sorregga. La persona di riferimento affettivo diventa per l'individuo che soffre di questi disturbi, assolutamente vitale. Di conseguenza, di fronte alla possibilità di un abbandono il soggetto avverte un vero e proprio sentimento di annientamento, di catastrofe emotiva.

Quando sente vicino il rischio di abbandono, il borderline mette in atto una serie di comportamenti lesivi (come minacce, ritorsioni dimostrative e intimidatorie) volti a evitare l'abbandono vero o presunto; violenze verso l'altro, tentativi di suicidio, autolesionismi, con l'intento di preoccupare l'altro o di intimargli di non separarsi.

Un'altra condizione associata allo stalker è il narcisismo patologico: come nel mito di narciso, il soggetto non cerca un altro con cui entrare in relazione, ma chiede all'altro di essere uno specchio. Il partner deve rimandare al narcisista l'immagine di una persona bella, desiderabile, interessante, di fatto deve esistere in funzione del rispecchiamento del narcisista.

Quando l'altro viene meno alla funzione di specchio, il narcisista prova rabbia e desiderio di vendetta.

L'Altro, per il narcisista non può essere libero ed autonomo, non può andarsene. Il narcisista ha bisogno che l'Altro resti disponibile a confermare il suo valore, non può rinunciare alla conferma della sua identità e del suo valore che l'Altro deve fornirgli.

Ma gli stalker non sono sempre persone con un disturbo psichiatrico, anche se alcune forme di persecuzione sono inserite nel contesto di un quadro psicopatologico. Questa non è una condizione sempre presente, così come non esiste sempre un abuso di sostanze associato al comportamento stalkizzante.

Lo stalking come patologia relazionale.

Il fenomeno dello stalking sembra in sostanza interessare tre temi fondamentali e fondanti con i quali l'uomo non può fare a meno di confrontarsi nella propria esistenza: la violenza, la perdita e la morte.

Nella nostra vita non esiste una condizione di totale indipendenza dall'Altro. Noi siamo sempre dipendenti dalle nostre relazioni affettive più importanti. Quello che riusciamo a conquistare durante la crescita è una condizione di autonomia, che comporta anche il riuscire ad accettare l'autonomia dell'oggetto di desiderio, tollerare la frustrazione e le delusioni.

La dipendenza affettiva patologica non è troppo diversa da altre dipendenze patologiche rivolte ad una droga o all'alcol: porta ad una dipendenza verso una persona di tale intensità che non se ne può fare a meno; la separazione causa una crisi di astinenza e ci si avvinghia al partner. l'uomo, nella propria evoluzione esistenziale continua a confrontarsi con la costante separazione e con il senso di perdita. Tutta la vita dell'uomo comporta l'elaborazione della perdita, delle angosce e dei bisogni di dipendenza, e di intrusione ad essa collegate. In tal senso lo stalking richiama un tentativo di superamento e negazione della perdita, della frustrazione che si è verificata o che è semplicemente temuta.

Quando l'amore è al servizio dell'aggressività in una regressione che porta alla diffusione dell'istinto l'aggressività può agire indipendentemente e non si può amare se non distruggendo l'Altro. Quando in una relazione l'amore viene sostituito dal possesso le persone vengono percepite come oggetti inanimati e come tali vengono trattate. Una relazione matura si fonda sull'uguaglianza e la libera scelta di amarsi. E' pura soggettività espressa nella libertà di vivere un amore consapevole.

Nel rapporto la totalità è una dimensione che vagheggiamo, ma è più un mito che non una realtà. Rinunciare al mito, uscire fuori dalla simbiosi significa che nel rapporto sperimento continuamente la separazione da ciò che amo, che non sarà mai completamente mio.

Nella relazione Io-Tu (cfr. Buber) si assiste al rapporto tra due individualità che si incontrano e che si riconoscono in quanto tali grazie allo spazio creato dalla relazione.

L'organizzazione sociale, inoltre, si confronta con la violenza e ne declina i divieti razionalizzandola al proprio interno. La violenza ha origine dal bisogno di sopravvivenza e controllo, potere, dominio. E' rituale e controllo dell'imprevedibilità e della natura dell'altro.

Il fenomeno dello stalking richiama simbolicamente il mito del cannibalismo, in quanto violenza predatoria ritualizzata finalizzata ad appropriarsi della vita dell'altro, a controllarla in risposta al conflitto e all'angoscia di perdita e di morte che nella relazione con l'altro e nell'assenza di relazione possono generarsi.

La violenza, in quanto violenza predatoria, ha infinite sfumature. Riguarda il controllo dell'imprevedibilità e l'intolleranza alla perdita di personalità non autonome che si completano nel possesso dell'altro, come cosa determinata, o di parti dell'altro. Colui che perseguita è a propria volta perseguitato dall'idea di perdere l'oggetto di dominio e di possesso ed esercita la ritualità ed ossessività come esercizio di potere, fino all'omicidio finale come possesso cannibalico.

Inquadrando il fenomeno dello stalking all'interno della struttura sociale di oggi consideriamo vari aspetti che contribuiscono alla costruzione del fenomeno:

-la presenza di una società fortemente individualizzata con aspetti di isolamento e nuove forme di socialità virtuale;

-il passaggio da una cultura della colpa ad una cultura del narcisismo con una bassa tolleranza alla frustrazione e fragilità dei divieti;

-aumento della presenza di tecnologia con disponibilità sempre maggiore di strumenti di comunicazione intrusivi;

-alterata percezione della violazione della privacy e del crimine commesso;

-strutturazione di un diverso equilibrio tra dimensione pubblica e privata con modificazione del senso di privacy.

Negli ultimi tempi ci sono stati molti cambiamenti sociali nella sfera delle relazioni interpersonali: minore è il peso dei legami comunitari ristretti e degli obblighi rituali, maggiore visibilità pubblica della sfera privata: diventano innumerevoli le circostanze di compresenza fisica che permettono di intrecciare relazioni reciproche e nuove forme di interazione: i mezzi di comunicazione di massa consentono anche esperienze di interazione a distanza. Questo clima sociale favorisce l'anonimato, l'irresponsabilità. Su questo sfondo si rendono visibili le varie forme di molestie assillanti.

L'età della tecnica, che vede l'uomo come oggetto di consumo, i fenomeni dell'individualizzazione e della globalizzazione della cultura del narcisismo, l'isolamento della famiglia, la perdita della funzione educatrice della scuola, richiedono le risposte di una nuova umanità che vede l'educazione al sentimento e al rispetto come processo psicologico e culturale.

L'educazione al rispetto dell'altro deve fornire, in questa visione dell'uomo, dei freni inibitori, in assenza dei quali si manifesterebbe una sorta di tendenza naturale alla soddisfazione immediata degli istinti

Che cos'è lo stalking?

di Massimo Mariani

La parola inglese stalking viene utilizzata per indicare un insieme di comportamenti criminali al fine di molestare una vittima, come ad esempio:

  • perseguitare in modo ossessivo un'altra persona;
  • mettere in atto appostamenti nei pressi della dimora della vittima;
  • pedinamenti;
  • telefonate non gradite e ripetute, accompagnate da:
  • sms o altre forme scritte, come lettere o bigliettini lasciati nel portone di casa o sul tergicristallo dell'automobile della vittima.

Tutto ciò compone il vasto quanto "variegato" set di comportamenti morbosi messi in atto da parte del persecutore. Si tratta dunque di uno copione comportamentale reiterato, finalizzato all'intrusività nella vita di un'altra persona desiderata, pretesa, come nella maggior parte dei casi, dalla quale ci si è separati, causando nella vittima ansia o paura.

Queste condotte indesiderate possono essere classificate in tre tipologie: comunicazioni indesiderate, contatti indesiderati e comportamenti associati:

  • Le comunicazioni indesiderate di solito sono rivolte direttamente alla vittima di stalking, ma possono consistere anche in minacce o in contatti con la famiglia, gli amici o i colleghi della vittima stessa. Lettere e telefonate sono le forme più comuni di comunicazione, ma gli stalker ricorrono spesso anche a scritti non necessariamente inviati in modo diretto alla vittima, oppure utilizzano altri mezzi come invio di sms ed e-mail.
  • I contatti indesiderati comprendono i comportamenti dello stalker diretti ad avvicinare in qualche modo la vittima. Tra questi i più diffusi sono i pedinamenti, il presentarsi alla porta dell'abitazione o gli appostamenti sotto casa, recarsi negli stessi luoghi frequentati dalla vittima o svolgere le stesse attività.
  • Tra i comportamenti associati si collocano l'ordine o la cancellazione di beni e servizi a carico della vittima, al fine di danneggiarla o intimidirla. Tipiche condotte di questo tipo sono il far recapitare cibo o altri oggetti all'indirizzo della vittima anche a tarda notte, oppure la cancellazione di servizi quali l'elettricità o la carta di credito all'insaputa della vittima.

Chi è lo stalker?

Una interessante distinzione è proposta nel "un manuale per le vittime e gli operatori progetto daphne 04-1/091/w percorsi di aiuto per le donne vittime di stalking":

  • Lo stalker può essere un ex-partner, un conoscente, come un collega o qualcuno conosciuto casualmente, oppure un completo estraneo.
  • Nella maggior parte dei casi gli stalker sono ex-partner. In genere essi agiscono per recuperare il rapporto precedente o per vendicarsi per essere stati lasciati, oppure per entrambi i motivi. I partner gelosi o portati a controllare il proprio o la propria partner sono più inclini a porre in essere condotte di stalking, sebbene anche persone timide o con difficolta relazionali possano mettere in atto comportamenti di stalking.
  • Alcuni stalker prendono di mira conoscenti, o anche sconosciuti per stabilire con loro una relazione sentimentale. Una parte di questi soggetti ha semplicemente gravi difficolta nell'instaurare una relazione normalmente. Altri, invece, possono soffrire di gravi disturbi mentali che li inducono a credere con convinzione all'esistenza di una relazione, che in realtà non c'è, o comunque alla possibilità di stabilirne una.
  • Altri stalker molestano persone conosciute o sconosciuti allo scopo di vendicarsi per qualche torto reale o presunto.
  • Altri ancora mettono in atto condotte di stalking (soprattutto pedinamenti) nelle fasi preparatorie di un'aggressione di solito di tipo sessuale. Questi stalker sono rari e in tali casi la vittima può non rendersi conto di ciò che sta accadendo.

Altra interessante disamina emerge in "Stalking: conoscerlo per difendersi!" che citando alcuni studi sulla figura dello stalker evidenzia alcune caratteristiche e comportamenti ricorrenti tra i vari autori, porta a delineare una serie di cinque profili di autori: il rifiutato, il cercatore di intimità, l'incompetente, il rancoroso e il predatore. Queste figure possono essere modelli per comprendere meglio il comportamento degli stalker.

  • I rifiutati danno inizio al proprio comportamento persecutorio a seguito dell'abbandono o presunto abbandono da parte del partner. Attraverso le molestie cercano di opporsi alla conclusione non desiderata della relazione e tentano con le loro azioni di ripristinarla o giungere ad una riparazione. Secondo Mullen et al. essi provano un mix di desideri contrapposti di riconciliazione e vendetta, in cui un forte senso di abbandono è alternato a sentimenti di rabbia e frustrazione. Gli atti persecutori di questa tipologia di attori tende a rivolgersi verso la proprietà della vittima piuttosto che nei confronti della vittima stessa. Si tratta del gruppo più numeroso e, come intuibile, comprende gli ex-partner.
  • I cercatori di intimità ricercano un rapporto intimo (d'amicizia o d'amore) con un partner che hanno idealizzato; identificano perciò la vittima con l'oggetto del loro amore e credono di essere ricambiati. Si tratta di soggetti che lottano contro la solitudine o la mancanza di una relazione fisica o emotiva stabile con un'altra persona, cercando di instaurarla con completi sconosciuti, semplici conoscenti o con celebrità. Spesso questi soggetti sono affetti da psico-patologie come: schizofrenia, mania o disturbi erotomanici.
  • Gli incompetenti desiderano entrare in sintonia con il partner desiderato e sono consci del fatto che i loro tentativi di corteggiamento non sono ricambiati, ma sperano che con il tempo i loro sforzi verranno premiati. Generalmente questi soggetti hanno scarsa capacità di relazionarsi con gli altri e sono intellettualmente limitati, quindi i loro tentativi di corteggiamento risultano inadeguati e vani o, nel peggiore dei casi, suscitano preoccupazione nella vittima.
  • I rancorosi desiderano vendicarsi di un danno o di un torto subito, reale o presunto, per questo spaventano e minacciano la vittima in vario modo. Alcuni vogliono vendicarsi di un individuo in particolare, mentre invece la maggioranza prova un generico risentimento e sceglie la propria vittima in modo casuale. Le vittime principali sono giovani donne, di successo e di bell'aspetto, che incarnano caratteristiche contrapposte a quelle dello stalker che solitamente è stato di recente umiliato o respinto sul piano lavorativo. I soggetti di questo gruppo seguono un piano punitivo e considerano giustificati i propri comportamenti, da cui traggono una sensazione di potere e controllo che a loro volta va a rinforzare la condotta molesta.
  • I predatori seguono e pedinano la vittima al fine di preparare un attacco, di solito una violenza sessuale. I soggetti di questa categoria traggono piacere e senso di potere dalla componente voyeuristica della condotta (seguire e osservare la vittima di nascosto) e nel continuo fantasticare ed immaginare l'attacco pianificato. I predatori sono la categoria meno intrusiva e, anche per questo, più pericolosa in quanto la vittima può non accorgersene e non avere alcun avviso prima dell'aggressione.

Stalking come malattia mentale?

Strano (2010) afferma che stiamo assistendo ad una clinicizzazione esasperata del problema stalking e ritiene che un substrato caratteriale (e non personologico) possa favorire in alcuni soggetti comportamenti di stalking come una sorta di esacerbazione del sintomo in condizioni in cui un fattore stressor(la separazione non gradita) si manifesta.

Berti, Fizzotti, Maberino, Zanelli (2005), Partendo dall'osservazione di due casi clinici, analizzano due diversi aspetti del fenomeno della Sindrome delle Molestie Assillanti: l'autore del reato e il comportamento agito, valutandone i correlati con la "normalità" e sottolineando quando e come, all'opposto, essa trova origine nell'ambito di un substrato psicopatologico.

Lo stalking secondo gli autori potrebbe essere un fenomeno che parte dalla normalità e che si inserisce nella vita di tutti i giorni, come l'innamorato abbandonato, che può accettare l'abbandono tollerandone la frustrazione, oppure cercarne il recupero attraverso l'attuazione di comportamenti che possono avere il sapore di molestie. Si pensi a lettere d'amore ripetute, messaggi lasciati in bella mostra ovunque, fino alle scritte sui muri cittadini, agli annunci sulle pagine dei quotidiani nel disperato tentativo di convincere l'altro a tornare sui suoi passi.

Sebbene possano sembrare naïf, fastidiosi, invadenti o essere percepiti da chi li subisce come francamente dannosi, questi gesti presentano ripetitività e l'intrusione che sono proprio le caratteristiche che hanno come scopo la sottile gratificazione del narcisismo e dell'onnipotenza dell'autore che altro non fa che negare l'abbandono con una reazione maniacale. "Una situazione che si avvicina pericolosamente alla clinica di uno stato misto e che dimostra come lo stalking possa affondare le radici nella normalità, ma frequentemente approdare nella psicopatologia." (Berti, Fizzotti, Maberino, Zanelli 2005, pag. 177)

Lo stalking potrebbe essere inserito nella sintomatologia di un disturbo psichico facilmente identificabile o essere l'unico sintomo presente in chi lo agisce.

Acquardo Maran, Pristerà, Varetto, Zedda (2010) evidenziano che lo stalking non è un fenomeno omogeneo; pertanto risulta difficile far rientrare i molestatori assillanti in una categoria diagnostica precisa e identificare sempre la presenza di una vera e propria patologia mentale di riferimento.

Meloy (1998), Kienlein (1998), sostengono che alla base dello stalking vi è una patologia dell'attaccamento.

M.F. Hirigoyen, (2006), traendo spunto dai disturbi di personalità, ha attuato la seguente classificazione:

  • narcisisti, "soggetti insofferenti alle critiche, indifferenti alle esigenze altrui ed inclini a sfruttare gli altri (...). Nella coppia sono dominatori e attraenti, e cercano di sottomettere e isolare" il partner (...) "il narcisista cerca la fusione, ha bisogno di fagocitare l'altro, di farne uno specchio che rifletta soltanto un'immagine di sé" (Merzagora Betsos, 2009, pag. 85);
  • antisociali o psicopatici, individui incapaci di conformarsi alle norme sociali e di sostenere una attività lavorativa continuativa o di far fronte a obblighi finanziari (Merzagora Betsos, 2009, pag. 85);
  • borderline, persone affette da "un incessante senso di vuoto interiore, sono irritabili, suscettibili e soggetti a ondate di rabbia risvegliate soprattutto dalle frustrazioni e dai rifiuti, dai veri o presunti affronti. Sono ambivalenti rispetto alla dipendenza: ne soffrono ma la temono, sicché reagiscono con violenza sia alle mosse di avvicinamento, che a quelle di abbandono. Fanno ricorso ad alcol e droghe o a comportamenti autolesivi per ridurre la tensione emotiva" (Merzagora Betsos, 2009, pag. 86);
  • perversi narcisisti, controllano la vittima non attraverso la violenza brutale, "bensì per mezzo della manipolazione, del plagio e della menzogna". In tali soggetti è l'invidia a guidare la scelta del partner. "Si nutrono dell'energia di quelli che subiscono il loro fascino". Di regola "scelgono le loro vittime tra le persone piene di vita, come se cercassero di accaparrarsi un po' della loro forza. Oppure possono scegliere la propria 'preda' in funzione dei vantaggi materiali che può procurare. Il partner non esiste come persona, ma come spalla" (Merzagora Betsos, 2009, pag. 86);
  • personalità paranoiche, "hanno una visione rigida del mondo in generale, e dei ruoli dell'uomo e della donna in particolare, fino a essere veri e propri tiranni domestici. (...) Costantemente sospettosi e diffidenti, temono complotti ai loro danni anche da parte del coniuge, e la loro gelosia talora sfocia nella patologia vera e propria". Il loro atteggiamento finisce per allontanare la partner "cosicché essi si sentono autorizzati a ritenersi nel giusto lamentando il disamore di questa". Se minacciati di abbandono o abbandonati, nei casi più gravi, possono giungere all'uxoricidio" (Merzagora Betsos, 2009, pag. 86,87).

Dagli ultimi studi emerge chiaramente che non esiste un unico profile di stalker: tale sindrome raccoglie "sotto un denominatore comune un ampio spettro di soggetti imputati di molestie assillanti e una variegata costellazione di comportamenti intrusivi. La diversità del campionamento non permette ancora di inquadrare con chiarezza e precisione la percentuale dell'incidenza di disturbi psichiatrici nelle sindromi di stalking".

La relazione stalker-vittima è secondo Galeazzi e Curci (2001) una distorsione e/o una vera e propria patologia della comunicazione e della relazione. Le dinamiche comunicative e relazionali, reali o fantasmatiche sono, quindi, centrali e imprescindibili per la lettura, la comprensione e l'attribuzione dei significati del passaggio all'atto proprio di questa sindrome. Esiste tra lo stalker e la sua vittima una disparità di percezioni sul significato e sull'intensità della relazione in atto, da cui dipende anche la difficoltà da parte del molestatore di riconoscere la mancata appropriatezza e la non-liceità dei propri comportamenti.

Le vittime di stalking

Una ricerca condotta 7 nel Lazio, in Campania e in Sardegna conferma i dati di oltreoceano: anche in Italia l'80% delle vittime di stalking sono donne.

L'età delle vittime varia generalmente tra i 16 e i 30 anni Mullen e Pathé, (2002), anche se alcuni tipi di persecuzione, quali ad esempio quelle legate al risentimento o alla paura di perdere la relazione che nasce dall'essere respinti, si rivolgono principalmente a donne fra i 35 e i 44 anni. I dati della British Crime

Survey (2000) indicano una maggiore frequenza di vittime tra le donne single di età compresa tra i 16 e i 18 anni. Per quasi un quarto delle vittime, la durata delle molestie va da uno a tre mesi e per il 20% è di oltre un anno. Le vittime molestate da persone conosciute (ex partner, parente, amico) sono più facilmente

soggette a una campagna di stalking che può durare mesi o anni Mullen, Pathé e Purcell, (2002). Quanto maggiori sono la precedente intimità e l'investimento affettivo sulla vittima, tanto più è probabile che il molestatore si ostini nel perseguitarla.

Un elemento utile alla comprensione delle dinamiche dello stalking è il rapporto tra persecutore e vittima precedente l'inizio delle molestie. In molti casi i comportamenti di stalking emergono all'interno di una relazione professionale, per esempio la relazione terapeutica (in cui il molestatore fraintende l'aiuto offerto

come un segno di interesse sentimentale) o come domanda di attenzione o ricerca di rivalsa (attribuzione di responsabilità per problemi di varia natura).

Da ricerche svolte negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Australia risulta che sono particolarmente a rischio coloro che esercitano le professioni d'aiuto.

Impatto dello stalking sulle vittime

Studi indagini svolte sino ad ora portano a concludere che coloro i quali vengono sottoposti a prolungate campagne di stalking possono sviluppare delle importanti conseguenze dal punto di vista psicologico, sebbene non tutte le vittime manifestino disturbi di questo genere.

Uno studio compiuto in Australia Pathè e Mullen, (1997) ha prodotto questi risultati: il 94% delle vittime hanno apportato cambiamenti significativi nel loro stile di vita abituale: il 70% restringe le proprie attività sociali a meno della metà di quelle esercitate in precedenza allo stalking, più della metà deve ridurre l'impegno lavorativo o nei casi più gravi addirittura si trova a dover abbandonare il lavoro. L'80% delle vittime, dichiarano un aumento del livello di ansia e dello stato d'allerta che può divenire continuo, manifestano sintomi di ipervigilanza che si concretizzano soprattutto nel manifestarsi di disturbi del sonno.

Un quarto dei soggetti ammette di avere idee suicidarie, mentre due terzi dicono di provare sentimenti di forte aggressività nei confronti dello stalker.

Una ricerca nazionale, condotta negli USA su 145 casi di stalking ha rilevato, quali conseguenze dello stalking, sostanziali cambiamenti negativi della personalità; in particolare, quelli descritti con maggiore frequenza sono stati l'aumento della prudenza, della sospettosità, dell'ansia e dell'aggressività.

In Olanda, Kamphuis e Emmelkamp (2005) hanno riscontrato in circa i due terzi di oltre 200 vittime di stalking sintomi psicologici clinicamente rilevanti, valutati tali mediante il General Health Questionnaire. Inoltre, gli autori hanno evidenziato come in una frazione rilevante di vittime sia possibile diagnosticare un disturbo post-traumatico da stress. L'intensità dei sintomi post-traumatici provocati dallo stalking e paragonabile ai livelli riscontrati nelle vittime di altri eventi traumatici, come incidenti stradali o rapine in banca. Di recente, Purcell et al (2005) hanno esaminato le conseguenze psicologiche determinate da una breve molestia rispetto a quelle indotte da uno stalking prolungato nel tempo, generalmente per diversi mesi. È emerso come i problemi di salute mentale fossero più gravi fra coloro che avevano subito condotte di stalking per più di 15 giorni. Un terzo delle vittime dopo un anno dalla fine dello stalking manifestava ancora problemi di tipo psicopatologico. I disturbi, tuttavia, assumevano una particolare intensità immediatamente dopo l'evento ed erano molto più gravi nell'ipotesi di condotte prolungate nel tempo. Circa il 10% degli intervistati vittime di stalking ammetteva di aver pensato di porre fine alla propria vita.

L'intervento sulle vittime

Aspetti psicologici rilevanti nella fase dell'accoglienza

L'accoglienza è il momento più delicato della relazione tra la donna e gli operatori, e ha conseguenze sul percorso dell'assistenza della vittima e sui successivi provvedimenti; pertanto l'operatore dovrà fare particolare attenzione alla riservatezza alla privacy e alla dignità della donna.

Si prevede:

  • presenza di materiale illustrativo sulla violenza alle donne (manifesto, card servizi) in sala d'attesa;
  • riservatezza e disponibilità all'ascolto;
  • accompagnamento, preferibilmente eseguito da una operatrice, della donna in un luogo riservato.

Sin dalla fase dell'anamnesi, si ritiene opportuna la presenza di un/a operatore/trice di area psico-sociale; nel caso la donna richieda riservatezza durante il colloquio, si consiglia di aderire alla stessa richiesta, dando priorità all'accoglienza con l'opertore/trice di area psico-sociale.

La donna deve sempre essere informata di come si intende procedere e deve fornire il proprio consenso ai trattamenti proposti. Pertanto, è importante focalizzare questa prima fase della visita non solo su ciò che è significativo dal punto di vista medico (tenere presente che la donna può anche rifiutarsi); in tal senso è fondamentale che tutti gli/le operatori/trici siano empatici e sappiano esprimere disponibilità e protezione. Di tutti gli aspetti emersi durante i colloqui dovrà restare traccia nella cartella.

  • Presentarsi e presentare il servizio utilizzando una comunicazione calma e non frettolosa;
  • anticipare alla donna quali saranno i momenti e gli interventi, spiegando ciò che si fa nel momento in cui viene fatto (ciò anche per restituirle da un punto di vista simbolico, psicologico ed emotivo, il controllo di quanto succede);
  • accertare se la donna è in stato di gravidanza o potrebbe esserlo;
  • richiedere il consenso per gli interventi che saranno effettuati (il rifiuto della donna può consentirle di porre quei limiti che la violenza ha annullato);
  • raccogliere informazioni sulla violenza subita ponendo domande "dirette" sull'accaduto;
  • riguardo alla violenza farsi riferire (data, ora e luogo della violenza, numero degli autori, se c'è stato uso della forza, se c'è stata penetrazione di tipo vaginale, rettale, orale, tipo di rapporto con l'autore);
  • raccogliere le informazioni relative alla denuncia da parte della donna e fornire informazioni chiare rispetto al proprio ruolo (il professionista è tenuto al segreto, ma ha anche degli obblighi di legge circa la denuncia).

Quando a seguito della storia clinica si raccolgono indicazioni probanti per distinguere violenza fisica e maltrattamenti da una violenza sessuale, occorre subito orientarsi verso un percorso definito presso l'ambiente dedicato del Pronto Soccorso (dove vanno raccolti tutti gli elementi clinici ed i materiali più oltre descritti nel caso della violenza fisica) e l'accompagnamento successivo presso l'ambiente dedicato della Ginecologia, in caso di violenza sessuale. È infatti fondamentale che la donna che ha subito violenza sessuale possa essere visitata in un unico ambiente dove, in un unico tempo, potrà essere sottoposta ad esame clinico completo, a visita ginecologica e alla raccolta dei materiali e dei campioni biologici più oltre descritti.

S.I.L.VI.A.

S.I.L.VI.A. è l'acronimo di Stalking Inventory List per Vittime e Autori, espressione che individua un formulario destinato alle Forze di Polizia, per monitorare i casi di "stalking", termine anglosassone, entrato nell'uso corrente, per indicare l'insieme delle condotte vessatorie volte a intimidire chi le subisce. S.I.L.VI.A. nasce da un'idea sviluppata congiuntamente dalla Direzione Centrale Anticrimine, Servizio Centrale Operativo ed il Dipartimento di Psicologia, Centro Studi Cesvis, della Seconda Università degli Studi di Napoli, a seguito del riscontrato aumento delle segnalazioni pervenute alle Forze di Polizia sulla fenomenologia in tema, le cui espressioni in concreto sono risultate non sempre di facile gestione. È, quindi, uno strumento di supporto per l'operatore, in grado di contribuire alla comprensione delle dinamiche che afferiscono la vittima di continue molestie, minacce e atti vessatori, subiti ad opera di una persona conosciuta o sconosciuta. Non sempre in questi casi siamo in presenza di fattispecie specifiche di reato e talvolta la loro individuazione può non rispecchiare la complessità della condotta vessatoria. Sebbene sia stato elaborato per strutturare il primo colloquio nella fase di accoglienza nel caso di denuncia presso le forze dell'ordine, tale questionario non perde la sua valenza nel caso venga utilizzato in altre sedi prima di una ipotetica denuncia e/o visita medica accompagnata dagli operatori del servizio attivatosi.

Modalità di compilazione di S.I.L.VI.A.

Si consiglia di compilare S.I.L.VI.A. durante il colloquio con la denunciante e di integrare la scheda qualora emergano altri elementi precedentemente non evidenziati. S.I.L.VI.A. è utile per avere delle linee guida circa le informazioni minime da raccogliere. È importante cercare di compilare S.I.L.VI.A. in ogni sua parte. Se alcune informazioni non sono disponibili o non sono conosciute dalla vittima, potranno esse riempite successivamente. Il questionario è composto da domande aperte, per dare all'operatore l'opportunità di scrivere tutte le informazioni ritenute rilevanti. È utile indicare se lo "stalker" ha precedenti penali. I fatti contestati vanno descritti in maniera dettagliata, anche se di per sé non costituiscono fattispecie di reato, indicando da quanto tempo durano e se, nel tempo, la loro frequenza è aumentata o diminuita. Caratteristica dello "stalking", infatti, è anche l'insistenza e la frequenza con cui vengono effettuati alcuni atti che terrorizzano la vittima (inviare molti messaggi, al di là del loro contenuto, o chiamare ripetutamente). Un aspetto importante che caratterizza gli atti persecutori è lo stato di soggezione o la paura provata dalla vittima. Occorre chiederle, pertanto, se ha temuto/teme per la propria incolumità e se ha paura che il denunciato possa farle del male. Il pericolo percepito della stessa vittima è un indicatore da prendere seriamente in considerazione. Infine, è opportuno annotare qualsiasi altro particolare ritenuto utile, concernente sia la persona denunciata che il denunciante (possesso di armi, uso di sostanza stupefacenti, ecc.).

L'intervento psicologico sulle vittime

Se alcuni tipi di persecuzione sono tollerabili, gestibili e si risolvono in un arco di tempo ragionevole (da uno a tre mesi), altri invece sono violenti, distruttivi e possono procurare ferite psicologiche profonde, vere e proprie sindromi da stress post-traumatico Oliverio Ferraris (1999). Lo stalker può provocare nella vittima stati persistenti di insicurezza e di paura, incubi, flashback intrusivi in cui riaffiorano le minacce e gli attacchi subiti. Molte persone si sentono addirittura in colpa per la condizione alla quale sono costrette: ritengono che le molestie siano causate da loro atteggiamenti o comportamenti che hanno scatenato la reazione dello stalker Mascia e Oddi, (2006).

L'intervento terapeutico sulle vittime proposto da Kamphuis e Emmelkamp (2005) è suddiviso in due fasi. Nei casi di stalking passato si applica soltanto la seconda fase.

Nella prima fase della cura è importante iniziare con una psico-educazione sullo stalking, sulle probabili reazioni dello stalker e sulle prevedibili reazioni psicologiche della vittima, concentrandosi su come la vittima può affrontare il problema nel modo più idoneo. La vittima viene incoraggiata a cercare un sostegno

sociale e, se necessario, un'assistenza legale. In generale, le viene raccomandato di interrompere qualsiasi contatto con lo stalker, di non rispondere mai alle sue telefonate, non leggere le sue lettere o i suoi messaggi di posta elettronica e non aprirgli la porta di casa.

Viene prestata una particolare attenzione ai comprensibili sentimenti di vendetta. È necessario spiegare chiaramente alla vittima che qualsiasi reazione del genere non farebbe che rinforzare il comportamento dello stalker. Anche il non rispondere alle telefonate potrebbe inizialmente far aumentare o aggravare i

comportamenti assillanti, ma si è verificato che alla lunga questa strategia ha come effetto l'estinguersi dei comportamenti molesti.

La vittima verrà chiaramente informata sul comportamento che può aspettarsi da parte dello stalker e, ove necessario, le verranno consigliate delle misure preventive. In molti casi sarà necessario cambiare numero di telefono e indirizzo e-mail.

Altre volte, specialmente in presenza di un elevato rischio di violenza, purtroppo si deve raccomandare alla vittima di traslocare e di cambiare lavoro.

In alcuni casi di stalking tra ex partner intimi si può pensare a un incontro fra i due. La vittima dev'essere chiaramente istruita perché non incontri mai lo stalker da sola, ma sempre accompagnata da una persona fidata e in un luogo pubblico e sicuro.

Infine, ad alcune vittime di sesso femminile si può consigliare di prendere lezioni di autodifesa, per ridurre il sentimento di impotenza e aumentare la fiducia in se stesse.

Nella seconda fase del trattamento, ci si concentrerà soprattutto sull'elaborazione emotiva degli episodi di stalking, affrontando i sintomi post-traumatici, i disturbi ansiosi e la depressione, che possono causare gravi limitazioni funzionali e possono permanere anche quando lo stalking è terminato. Il trattamento e la gestione degli esiti clinici nelle vittime di stalking è sovrapponibile a quello dei paziente con Disturbo Post-Traumatico da Stress, e sono indicati EMDR, rilassamento e tecniche cognitivo-comportamentali centrate sul trauma Kamphuis e Emmelkamp (2005). È importante che il trattamento avvenga parallelamente all'attivazione delle strategie pratiche anti-molestie e che sia compiuto ogni sforzo per mantenere o ristabilire il sostegno sociale alle vittime e per ridurre gli stress secondari (per esempio, problemi economici o abitativi) che possono ostacolare la guarigione.

In letteratura vengono descritti approcci cognitivi di sostegno alle vittime di stalking.

Essere vittima di molestie assillanti mette in crisi molte delle precedenti convinzioni circa la ragionevolezza e la sicurezza dell'ambiente in cui il soggetto vive, oltre a mettere a dura prova la sua resistenza e il suo equilibrio. È frequente un senso di estrema vulnerabilità, accompagnata dall'attesa angosciosa di subire

un'aggressione da un momento all'altro. I metodi cognitivi mirano a porre rimedio ai convincimenti patologici che compromettono il funzionamento della vittima di stalking, e a consentirle di formarsi una visione più realistica e accettabile della situazione, che migliorerà il suo senso di sicurezza. Quando lo

stalking è ancora in corso e i timori della vittima hanno una base reale, questi strumenti cognitivi devono essere forniti senza perdere di vista il problema reale della sicurezza. Alcuni comportamenti di evitamento possono essere ragionevoli e protettivi per certe vittime, ma un evitamento generalizzato e acritico, invece dell'evitamento specifico del vero pericolo, finisce con l'impedire alla vittima di lavorare, di socializzare e perfino di uscire di casa. Le vittime di stalking possono trarre beneficio da metodi comportamentali come la desensibilizzazione allo stress, che aiutano a riprendere gradualmente le attività abbandonate, superando l'ansia che vi è associata.

Sembra essere molto utile anche l'atmosfera di sostegno di un gruppo di auto- aiuto, in cui vengono ridotti i sentimenti di isolamento e prevale un senso di reciproca comprensione e conferma. Questi gruppi possono essere una risorsa in assenza di servizi specifici per le vittime di stalking, permettendo loro di scambiarsi consigli ed esperienze. Naturalmente, è necessario porre attenzione alla sicurezza dei luoghi dove si svolgono queste riunioni.

Inoltre, è opportuno coinvolgere il partner e i familiari più significativi nel trattamento delle vittime. Queste persone possono essere fonte di informazioni collaterali che aiutano il terapeuta a individuare le strategie più opportune per affrontare il problema e, reciprocamente, essere informati sulle molestie assillanti può consentire ai familiari di venire incontro alle esigenze relative alla sicurezza e facilitarli nel dare un aiuto costruttivo alla vittima. Spesso i familiari della vittima subiscono gli effetti indiretti dello stalking, come lo sconvolgimento dell'abituale stile di vita familiare (cambiamento di abitazione o di lavoro), una riduzione degli introiti economici o l'insorgenza di conflitti interpersonali, e alcuni possono diventare oggetti secondari delle intimidazioni e della violenza dello stalker. Come succede per le vittime dirette, anche per le vittime indirette il tema della sicurezza è di fondamentale importanza, e può essere raccomandabile un intervento di counseling individuale.

S.I.L.VI.A.

S.I.L.VI.A. è l'acronimo di Stalking Inventory List per Vittime e Autori, espressione che individua un formulario destinato alle Forze di Polizia, per monitorare i casi di "stalking", termine anglosassone, entrato nell'uso corrente, per indicare l'insieme delle condotte vessatorie volte a intimidire chi le subisce. S.I.L.VI.A. nasce da un'idea sviluppata congiuntamente dalla Direzione Centrale Anticrimine, Servizio Centrale Operativo ed il Dipartimento di Psicologia, Centro Studi Cesvis, della Seconda Università degli Studi di Napoli, a seguito del riscontrato aumento delle segnalazioni pervenute alle Forze di Polizia sulla fenomenologia in tema, le cui espressioni in concreto sono risultate non sempre di facile gestione. È, quindi, uno strumento di supporto per l'operatore, in grado di contribuire alla comprensione delle dinamiche che afferiscono la vittima di continue molestie, minacce e atti vessatori, subiti ad opera di una persona conosciuta o sconosciuta. Non sempre in questi casi siamo in presenza di fattispecie specifiche di reato e talvolta la loro individuazione può non rispecchiare la complessità della condotta vessatoria. Sebbene sia stato elaborato per strutturare il primo colloquio nella fase di accoglienza nel caso di denuncia presso le forze dell'ordine, tale questionario non perde la sua valenza nel caso venga utilizzato in altre sedi prima di una ipotetica denuncia e/o visita medica accompagnata dagli operatori del servizio attivatosi.

Modalità di compilazione di S.I.L.VI.A.

Si consiglia di compilare S.I.L.VI.A. durante il colloquio con la denunciante e di integrare la scheda qualora emergano altri elementi precedentemente non evidenziati. S.I.L.VI.A. è utile per avere delle linee guida circa le informazioni minime da raccogliere. È importante cercare di compilare S.I.L.VI.A. in ogni sua parte. Se alcune informazioni non sono disponibili o non sono conosciute dalla vittima, potranno esse riempite successivamente. Il questionario è composto da domande aperte, per dare all'operatore l'opportunità di scrivere tutte le informazioni ritenute rilevanti. È utile indicare se lo "stalker" ha precedenti penali. I fatti contestati vanno descritti in maniera dettagliata, anche se di per sé non costituiscono fattispecie di reato, indicando da quanto tempo durano e se, nel tempo, la loro frequenza è aumentata o diminuita. Caratteristica dello "stalking", infatti, è anche l'insistenza e la frequenza con cui vengono effettuati alcuni atti che terrorizzano la vittima (inviare molti messaggi, al di là del loro contenuto, o chiamare ripetutamente). Un aspetto importante che caratterizza gli atti persecutori è lo stato di soggezione o la paura provata dalla vittima. Occorre chiederle, pertanto, se ha temuto/teme per la propria incolumità e se ha paura che il denunciato possa farle del male. Il pericolo percepito della stessa vittima è un indicatore da prendere seriamente in considerazione. Infine, è opportuno annotare qualsiasi altro particolare ritenuto utile, concernente sia la persona denunciata che il denunciante (possesso di armi, uso di sostanza stupefacenti, ecc.).

L'intervento psicologico sulle vittime

Se alcuni tipi di persecuzione sono tollerabili, gestibili e si risolvono in un arco di tempo ragionevole (da uno a tre mesi), altri invece sono violenti, distruttivi e possono procurare ferite psicologiche profonde, vere e proprie sindromi da stress post-traumatico Oliverio Ferraris (1999). Lo stalker può provocare nella vittima stati persistenti di insicurezza e di paura, incubi, flashback intrusivi in cui riaffiorano le minacce e gli attacchi subiti. Molte persone si sentono addirittura in colpa per la condizione alla quale sono costrette: ritengono che le molestie siano causate da loro atteggiamenti o comportamenti che hanno scatenato la reazione dello stalker Mascia e Oddi, (2006).

L'intervento terapeutico sulle vittime proposto da Kamphuis e Emmelkamp (2005) è suddiviso in due fasi. Nei casi di stalking passato si applica soltanto la seconda fase.

Nella prima fase della cura è importante iniziare con una psico-educazione sullo stalking, sulle probabili reazioni dello stalker e sulle prevedibili reazioni psicologiche della vittima, concentrandosi su come la vittima può affrontare il problema nel modo più idoneo. La vittima viene incoraggiata a cercare un sostegno

sociale e, se necessario, un'assistenza legale. In generale, le viene raccomandato di interrompere qualsiasi contatto con lo stalker, di non rispondere mai alle sue telefonate, non leggere le sue lettere o i suoi messaggi di posta elettronica e non aprirgli la porta di casa.

Viene prestata una particolare attenzione ai comprensibili sentimenti di vendetta. È necessario spiegare chiaramente alla vittima che qualsiasi reazione del genere non farebbe che rinforzare il comportamento dello stalker. Anche il non rispondere alle telefonate potrebbe inizialmente far aumentare o aggravare i

comportamenti assillanti, ma si è verificato che alla lunga questa strategia ha come effetto l'estinguersi dei comportamenti molesti.

La vittima verrà chiaramente informata sul comportamento che può aspettarsi da parte dello stalker e, ove necessario, le verranno consigliate delle misure preventive. In molti casi sarà necessario cambiare numero di telefono e indirizzo e-mail.

Altre volte, specialmente in presenza di un elevato rischio di violenza, purtroppo si deve raccomandare alla vittima di traslocare e di cambiare lavoro.

In alcuni casi di stalking tra ex partner intimi si può pensare a un incontro fra i due. La vittima dev'essere chiaramente istruita perché non incontri mai lo stalker da sola, ma sempre accompagnata da una persona fidata e in un luogo pubblico e sicuro.

Infine, ad alcune vittime di sesso femminile si può consigliare di prendere lezioni di autodifesa, per ridurre il sentimento di impotenza e aumentare la fiducia in se stesse.

Nella seconda fase del trattamento, ci si concentrerà soprattutto sull'elaborazione emotiva degli episodi di stalking, affrontando i sintomi post-traumatici, i disturbi ansiosi e la depressione, che possono causare gravi limitazioni funzionali e possono permanere anche quando lo stalking è terminato. Il trattamento e la gestione degli esiti clinici nelle vittime di stalking è sovrapponibile a quello dei paziente con Disturbo Post-Traumatico da Stress, e sono indicati EMDR, rilassamento e tecniche cognitivo-comportamentali centrate sul trauma Kamphuis e Emmelkamp (2005). È importante che il trattamento avvenga parallelamente all'attivazione delle strategie pratiche anti-molestie e che sia compiuto ogni sforzo per mantenere o ristabilire il sostegno sociale alle vittime e per ridurre gli stress secondari (per esempio, problemi economici o abitativi) che possono ostacolare la guarigione.

In letteratura vengono descritti approcci cognitivi di sostegno alle vittime di stalking.

Essere vittima di molestie assillanti mette in crisi molte delle precedenti convinzioni circa la ragionevolezza e la sicurezza dell'ambiente in cui il soggetto vive, oltre a mettere a dura prova la sua resistenza e il suo equilibrio. È frequente un senso di estrema vulnerabilità, accompagnata dall'attesa angosciosa di subire

un'aggressione da un momento all'altro. I metodi cognitivi mirano a porre rimedio ai convincimenti patologici che compromettono il funzionamento della vittima di stalking, e a consentirle di formarsi una visione più realistica e accettabile della situazione, che migliorerà il suo senso di sicurezza. Quando lo

stalking è ancora in corso e i timori della vittima hanno una base reale, questi strumenti cognitivi devono essere forniti senza perdere di vista il problema reale della sicurezza. Alcuni comportamenti di evitamento possono essere ragionevoli e protettivi per certe vittime, ma un evitamento generalizzato e acritico, invece dell'evitamento specifico del vero pericolo, finisce con l'impedire alla vittima di lavorare, di socializzare e perfino di uscire di casa. Le vittime di stalking possono trarre beneficio da metodi comportamentali come la desensibilizzazione allo stress, che aiutano a riprendere gradualmente le attività abbandonate, superando l'ansia che vi è associata.

Sembra essere molto utile anche l'atmosfera di sostegno di un gruppo di auto- aiuto, in cui vengono ridotti i sentimenti di isolamento e prevale un senso di reciproca comprensione e conferma. Questi gruppi possono essere una risorsa in assenza di servizi specifici per le vittime di stalking, permettendo loro di scambiarsi consigli ed esperienze. Naturalmente, è necessario porre attenzione alla sicurezza dei luoghi dove si svolgono queste riunioni.

Inoltre, è opportuno coinvolgere il partner e i familiari più significativi nel trattamento delle vittime. Queste persone possono essere fonte di informazioni collaterali che aiutano il terapeuta a individuare le strategie più opportune per affrontare il problema e, reciprocamente, essere informati sulle molestie assillanti può consentire ai familiari di venire incontro alle esigenze relative alla sicurezza e facilitarli nel dare un aiuto costruttivo alla vittima. Spesso i familiari della vittima subiscono gli effetti indiretti dello stalking, come lo sconvolgimento dell'abituale stile di vita familiare (cambiamento di abitazione o di lavoro), una riduzione degli introiti economici o l'insorgenza di conflitti interpersonali, e alcuni possono diventare oggetti secondari delle intimidazioni e della violenza dello stalker. Come succede per le vittime dirette, anche per le vittime indirette il tema della sicurezza è di fondamentale importanza, e può essere raccomandabile un intervento di counseling individuale.

Bibliografia

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  • PROGETTO DAPHNE 04-1/091/W PERCORSI DI AIUTO PER LE DONNE VITTIME DI STALKING; https://www.associazionedim.org/sites/default/files/manuale_Italia.pdf.
  • Stalking: nozioni, informazioni, statistiche;

https://www.personaedanno.it/attachments/article/40998/Nozioni,%20informazioni,%20statistiche.pdf.

Questionario S.I.L.VI.A.

Stalking Inventory List per Vittime e Autori

Data di compilazione: _________________________________________________

Nome e qualifica del compilatore:

_____________________________________________________________________________________________

Nome, cognome, data e luogo di nascita del denunciante:

_____________________________________________________________________________________________

Eventuali figli del denunciante: __________________________________________

Nome, cognome, data e luogo di nascita del denunciato:

____________________________________________________________________________________________

Indicare:

  • eventuale attività lavorativa (casalinga, operaio/a, impiegato/a, libero/a professionista-dirigente, commerciante, artigiano/a, pensionato/a o altro):
  • Denunciato: _______________________________________________________
  • Denunciante: ______________________________________________________
  • se denunciante e denunciato sono legati da vincoli di parentela (in caso positivo specificare il grado di parentela) o di semplice conoscenza. Specificare, eventualmente, da quanto tempo si conoscono): __________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

· se il/la denunciato/a è stato/a, in passato, deferito/a all'Autorità Giudiziaria e/o è stato/a condannato/a per altri reati; in caso positivo specificare quali:

_________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________

· la durata della condotta persecutoria:

___________________________________

· Le modalità della condotta persecutoria e quali sono i comportamenti più frequentemente posti in essere (specificare dettagliatamente):

_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

· se la condotta persecutoria è aumentata per frequenza ed intensità con il passare del tempo:

___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

  • Il/La denunciante riferisce di trovarsi in uno stato di soggezione o grave disagio fisico o psichico, o se teme per la propria sicurezza personale o delle persone a lei legate (specificare)

___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

  • Altre informazioni ritenute utili (ad es. abuso di sostanze, presenza di armi, possibili disturbi psichiatrici):

___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ ______

Il mobbing: aspetti giuridici

di Eva Tonolini

Il tema del mobbing è di assoluta rilevanza sociale ormai da diversi anni . Esso racchiude comportamenti tesi all'umiliazione, alla mortificazione, alla marginaliz- zazione della vittima, comportamenti tali da arrecargli disturbi di natura psico-fisica , danni alla salute e alla personalità. Tale condotta può essere perpetrata in vari contesti sociali quali l'impresa, la famiglia, la scuola, il mondo in generale delle relazioni (mobbing lavorativo,scolastico, familiare e coniugale).

Le pressioni, le molestie psicologiche, le calunnie sistematiche, i maltrattamenti verbali, le offese personali, le intimidazioni, le critiche continue immotivate, agiscono sulla persona, sulla sua immagine cercando di "umiliarla" non solo di fronte a colleghi, a datori di lavoro, ma anche di fronte ai compagni di classi, "vessazione di branco", ai figli, al coniuge o a terzi in genere.

Nell'ambito lavorativo, però, si assiste in questi tempi ad un dilagare del fenomeno e ad una sua preoccupante frequenza. L'impatto socio-sanitario del fenomeno è di notevole importanza, basti pensare che nel nostro paese l'incidenza diretta ed indiretta dei casi di mobbing supera i cinque milioni, più di tutte le più gravi patologie messe insieme. Si parla, infatti, di vera e propria malattia professionale (INAIL,circolare del 17. 12.2003 n. 71 individua una serie di situazioni configuranti pratiche di mobbing, comportanti la diagnosi di "malattia professionale". Tale circolare, però, è stata poi annullata dal TAR del Lazio in quanto era mancato il rigoroso accertamento della Commissione scientifica per l'elaborazione e la revisione periodica delle tabelle),la quale è stato oggetto di numerose e quanto mai tormentate vicende giudiziarie e mass-mediatiche .

Il mobbing lavorativo è di grande interesse non solo medico, per gli psichiatri, per i neurologi e per i cardiologi , ma anche economico. Non si possono trascurare, infatti, i costi sociali ed economici di tale fenomeno sia per il lavoratore mobbizzato che, soffrendo di patologie di carattere fisico e psichico, quali disturbi cardiovascolari, palpitazioni, crisi ipertensive, ansia, attacchi di panico, problemi della sfera sessuale, depressioni ecc. ,prolunga le terapie psichiatriche o sintomatiche, effettua visite ed indagini cliniche molto costose, con un aumento di spese, difficili da sopportare con la perdita del lavoro, e sia per l'azienda, la quale viene sensibilmente danneggiata con un calo significativo di produttività nei reparti in cui qualcuno è mobbizzato.

Il termine mobbing deriva dal verbo inglese to mob e significa "assalire, aggredire, affollarsi attorno a qualcuno". E' stato coniato dall'etologo Konrad Lorenz e designa il comportamento aggressivo di alcuni animali, della stessa specie, che si uniscono ed attaccano un membro del loro stesso gruppo per allontanarlo.

Lo studio del mobbing, come fenomeno patologico del mondo del lavoro, lo si deve allo psicologo tedesco Heinz Leymann, negli anni '80.

Nell'ambito europeo i pionieri nel combattere tale fenomeno furono i paesi del nord-europa: la Svezia (che ha considerato il mobbing già nel 1994 come reato perseguibile penalmente) la Norvegia e la Danimarca. Successivamente anche la Francia nel 2000 con una legge "Lutte contre le harcélement moral au travail" introduce una specifica figura di reato dedicata al mobbing. Il 20 settembre del 2001 il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione sul mobbing, la quale ha evidenziato la necessità per gli Stati membri di approfondire lo studio del fenomeno delle violenze psicologiche in ambito lavorativo e a verificare ed uniformare la definizione della fattispecie di mobbing (Risoluzione n. A5-0283/2001).

Fuori dell'Europa, negli USA, vi è una ricca disciplina antidiscriminatoria che costituisce la base del mobbing già dal 1964.

La sua introduzione in Italia si ha nel 1996 con lo psicologo tedesco Harald Ege. Quest'ultimo ha elaborato un metodo dove individua uno stato iniziale di conflitto fisiologico, normale ed accettato, e successive sei fasi evolutive: individuazione della vittima, inizio delle vessazioni, disagio, fastidio, abuso, serio aggravamento della salute ed infine esclusione dal mondo del lavoro. Tale schema rappresenta una evoluzione degli studi fatti dal Prof. Leymann.

Lo studio del Prof. Ege trova approvazione presso le nostre Corti, in quanto più aderente al contesto italiano, tanto da trovare pieno riconoscimento non da ultimo anche nella recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. lav., del 15 maggio 2015 n. 10037.

La giurisprudenza costituzionale, oltre a definire una serie di principi cui devono attenersi Stato e Regioni nel trattare la materia, ciascun nel rispetto dei propri ambiti di competenza, delinea il mobbing come un "complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo. Ciò implica l'esistenza di uno o più soggetti attivi cui i suindicati comportamenti siano ascrivibili e di un soggetto passivo che di tali comportamenti sia destinatario e vittima" (Corte Cost., 19.3.2003, n.359).

Nonostante la diffusione del fenomeno non esiste una specifica disciplina legislativa, manca una qualificazione giuridica della fattispecie e un apposito apparato sanzionatorio

Solo la giurisprudenza di legittimità e di merito hanno sopperito ad una tale carenza definendo la fattispecie, specificandone le caratteristiche ed elencandone gli elementi costituivi

Alla stessa stregua della Corte Costituzionale è stata la giurisprudenza di legittimità la quale anche recentemente ha confermato quello che ormai una consolidata giurisprudenza dal 1999 ad oggi ha affermato in tema di mobbing.

Si ha mobbing quando il datore di lavoro o il superiore gerarchico o un suo preposto o anche altro dipendente, sottoposto al potere direttivo dei primi (Cass., sez lav., 23.1.2015, n. 1262),ha un "atteggiamento sistematico" e "reiterati comportamenti ostili"(Cass., 18.2.2015, n. 3256), "a carattere persecutorio illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio, dall'evento lesivo della salute psicofisica" (Cass., sez. lav., 4.6.2015, n. 11547); comportamento lesivo del "suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità" (Cass., sez. lav., 4.6.2015, n. 11547) con conseguente "mortificazione ed emarginazione del dipendente" (Cass., 18.2.2015, n. 3256).

Dall'analisi giurisprudenziale e dottrinale possiamo distinguere almeno due forme di mobbing:mobbing orizzontale, quando le aggressioni o vessazioni provengono da lavoratori di pari grado rispetto alla vittima e mobbing verticale, quando l'aggressione è provocata dal datore di lavoro o altro superiore gerarchico del lavoratore, detto anche bossing, se presenta i caratteri di una strategia aziendale per provocare l'estromissione del lavoratore.

Il mobbing è stato definito anche come:ascendente: se posto in essere dai lavoratori sottoposti contro il proprio responsabile gerarchicamente superiore, solitamente non il datore di lavoro, ma altro soggetto da questi preposto; strategico: quando il dipendente è oggetto di ripetuti soprusi posti in essere da parte dei superiori e freddamente pianificati;emozionale o relazionale, che si riconosce nelle alterazioni interpersonali;non intenzionale quando non è evidente la volontà di isolare o estromettere un lavoratore.

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 10037 del 15.5.2015, elenca sette parametri tassativi di riconoscimento della fattispecie, richiamandosi agli "indizi" del metodo ideato dal prof Harald Ege (metodo H.Ege 2002). Attualmente tale metodo è lo strumento più usato in Europa per la rilevazione della fattispecie e per la liquidazione del risarcimento del danno per mobbing.

La vicenda riguarda un Comune condannato a risarcire il danno alla salute ed il danno da "dequalificazione professionale" arrecato ad una lavoratrice, causato dal comportamento mobbizzante quale "la sottrazione delle mansioni, la conseguente emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un ufficio all'altro e l'umiliazione di essere subordinata a quello che prima era un proprio sottoposto, l'assegnazione ad un ufficio aperto al pubblico senza possibilità di poter lavorare, così rendendo ancor più cocente la propria umiliazione".

Nella fattispecie la corte individua la "presenza contestuale" dei sette "parametri tassativi di riconoscimento del mobbing", specificati nel metodo H.Ege.

Questi sono:

1.- l'ambiente (il conflitto deve svolgersi sul posto di lavoro);

2.- la frequenza (le azioni ostili devono accadere almeno alcune volte al mese);

3.- la durata (i conflitti devono essere in corso da almeno 6 mesi);

4.- il tipo di azioni ostili (le azioni devono appartenere ad almeno due categorie del Lipt H. Ege, questionario elaborato nel 1950 da H.Ege);

5.- il dislivello tra gli antagonisti (la vittima è in posizione costante di inferiorità);

6.- l'andamento secondo fasi successive;

7.- l'intento persecutorio (nella vicenda è riscontrabile un disegno vessatorio coerente e finalizzato. Un obiettivo conflittuale)

Per quanto concerne la frequenza delle azioni ostili , che devono verificarsi almeno alcune volte al mese, si possono presentare situazioni particolari, come quella definita da Ege "sasso nello stagno".

In tal caso, infatti, una singola azione (per esempio un grave demansionamento o un trasferimento in un ufficio o reparto, lontano da casa o difficile da raggiungere) ha delle conseguenze che vengono percepite a lungo termine e che si ripercuotono quotidianamente sulla persona che le subisce.

La circostanza del "sasso nello stagno" si verifica, però, solo nel caso in cui l'azione principale è accompagnata o seguita da almeno altre due azioni di supporto, di carattere differente, attuate da soggetti diversi e riscontrate almeno alcune volte al mese. Si parla in questo caso di straining.

Ege lo intende come "una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione ostile e stressante, che ha come conseguenza un effetto negativo costante e permanente nell'ambiente lavorativo. Oltre a questo, la vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo Straining (strainer) e lo straining viene attuato appositamente contro una o più persone, ma sempre in maniera discriminante" .

Questa definizione del fenomeno dello straining la ritroviamo nella giurisprudenza italiana: Tribunale del Lavoro di Bergamo, 21.04.05, sent. n. 286 , la prima sentenza in tema di straining pronunciata in Italia, Corte di Cassazione, sezione penale, 3 luglio 2013, sent. n. 28603 (straning come forma di mobbing attenuato) e da ultimo in una recente pronuncia della Corte di Cassazione, sezione lavoro, del 22 febbraio 2016 n. 3291.

La corte riconosce il danno subito dalla vittima rientrante nella fattispecie dello straining (dall'inglese « forzatura » o « mettere sotto pressione ») definita come "... una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (quindi non rientranti nei parametri di mobbing) ma tale da provocarle una modificazione in negativo, costante e permanente, della condizione lavorativa...".

Per poter definire un'azione come mobbing abbiamo visto che il conflitto deve protrarsi per almeno sei mesi, ma la dottrina e la giurisprudenza evidenziano anche una forma di mobbing che dura un tempo inferiore (almeno tre mesi), dove gli attacchi quotidiani e le azioni poste in essere, devono rientrare almeno in due categorie previste dal "LIPT Ege": in questo caso si parla di "quick mobbing".

Gli atti ed i comportamenti mobbizzanti più diffusi, quindi denunciabili, e che comportano il risarcimento del danno, sono: diffamazioni, pressioni o molestie psicologiche, offese personali, comportamenti atti a svilire, intimorire e a maltrattare la persona, minacciare direttamente o indirettamente un subalterno, fare critiche immotivate ed avere un atteggiamento ostile, denigratorio nei confronti della persona a livello fisico, esclusione e marginalizzazione dall'attività lavorativa, demansio- namento rispetto al livello di inquadramento CCNL, attribuzione di compiti eccessivi tali da compromettere la serenità e le condizioni psicologiche del lavoratore, impedimento nell'utilizzare determinate tecnologie indispensabili allo svolgimento dell'attività lavorativa, discriminazioni sessuali, di razza, di lingua e di religione.

Sotto il profilo penale il nostro ordinamento non prevede il reato di mobbing, ossia una specifica figura incriminatrice, e per contrastare la pratica persecutoria, pertanto, la via penale non appare praticabile.

Tuttavia il comportamento avuto dal mobber può configurare uno specifico reato punito dall'ordinamento e riconducibile alle seguenti fattispecie penali: abuso di ufficio- art. 323 c.p. (le vessazioni sono compiute nell'ambito di un ufficio pubblico), violenza privata -art. 610, c.p.; lesioni personali- art. 582 c.p.; istigazione al suicidio- art. 580 c.p., molestie- 660 c.p.; molestie sessuali o violenza sessuale -art. 609 bis c.p.; maltrattamenti- art. 572 c.p.; reato di ingiuria o diffamazione- art. 594 e 595 c.p.; condotta discriminatoria -art. 15 e 38 st.lav.; e 4 d.lgs 216/2003.

Sotto il profilo civile avviene la stessa cosa. La carenza di una disciplina specifica comporta che la tutela del lavoratore mobbizzato sia demandata a norme già esistenti nel nostro ordinamento.

Il mobbing viene innanzitutto inquadrato nell'ambito dell'art. 2087 del c.c. che pone a carico del datore di lavoro l'obbligo di tutelare non solo la persona fisica ma anche la personalità morale del lavoratore.

"Il fondamento dell'illegittimità del mobbing sta nell'obbligo datoriale di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità psicofisica del lavoratore, ai sensi dell'art. 2087 c.c." (Cons. di Stato, 13.4.2010 n. 2045) .

"Questa Corte ha più volte affermato che l'illecito del datore di lavoro nei confronti del lavoratore consistente nell'osservanza di una condotta protratta nel tempo e finalizzata all'emarginazione del dipendente (cd. "mobbing"), rappresenta una violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 cod. civ" (Cass., sez. lav. 19 marzo 2012 n. 4321 ; Cass., sez. lav., 6 marzo 2006 n. 4774, Cass., sez. lav., 9 settembre 2008 n. 22858).

Ed ancora "La responsabilità per mobbing non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva: la responsabilità del datore di lavoro va inquadrata nell'ambito applicativo dell'art. 2087 c.c."(Cass Civile, sez. lav., 3 marzo 2016, n. 4222).

Dall'art. 2087 c.c. scaturisce anche l'obbligo del datore di lavoro di impedire, vigilando, eventuali atti e/o comportamenti aggressivi e vessatori posti in essere dai suoi collaboratori nei confronti dei loro sottoposti ed anche quelli posti in essere dagli stessi colleghi del lavoratore .

E' una responsabilità contrattuale in quanto non ha adempiuto ad un obbligo specifico, cui è tenuto in forza del rapporto di lavoro, e quel che rileva è che il datore di lavoro sapesse o potesse sapere quanto accadeva (Cass. n. 22858/2008, Cass., sez. lav., 25 luglio 2013 n. 1803).

Questo è l'orientamento costante della Corte riconfermato nella recente sentenza del 15 maggio 2015 n. 10037.

"Il fatto che le condotte persecutorie integranti la fattispecie di mobbing siano opera di un altro dipendente, superiore gerarchico della vittima, non esclude la responsabilità del datore di lavoro se questi è rimasto colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo. Nella specie la durata e le modalità con cui è stata posta in essere la condotta mobbizzante, quale risulta anche dalle prove testimoniali, sono tali da far ritenere la sua conoscenza anche da parte del datore di lavoro, nonché organo politico,che l'ha comunque tollerata".

Tra le pratiche di mobbing più usata vi è la dequalificazione professionale o demansionamento, cioè l'assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori. Il lavoratore spesso, per finalità persecutorie, può essere privato totalmente di compiti e mansioni assegnategli dal contratto e lasciato in forzosa inattività sul luogo di lavoro, fino a che non arriva a dimettersi, attuando lo scopo per il quale è stato perpetuato il comportamento mobbizzante.

Il datore di lavoro ha il potere (ius variandi) di assegnare il lavoratore a mansioni superiori (mobilità verticale) o equivalenti (mobilità orizzontale), con diritto alla relativa retribuzione, consentendo al lavoratore di adoperare il bagaglio di esperienze e di competenze acquisito, ma non può assegnarlo a mansioni inferiori, cd. mobilità verso il basso o demansionamento, in quanto questa possibilità di modificare unilateralmente le mansioni del lavoratore rispetto a quanto convenuto ab origine, può essere giustificato solo da esigenze organizzative e direzionali o da radicale e profonda ristrutturazione dell'azienda.

"...diversamente opinando ne conseguirebbe la impossibilità di modificare in alcun modo l'organizzazione aziendale, il che però si porrebbe in patente contrasto con i poteri riservati all'imprenditore dall'art. 2094 cod.civ. Ed anche ai principi di rango costituzione (art. 41 cost.)" (Cass., SS.UU., 24 marzo 2006 n. 6572)

Ai sensi dell'art. 2103 c.c. , infatti, il datore di lavoro ha l'obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto, ovvero a quelle equivalenti o superiori, altrimenti incorre in "....un'azione di responsabilità contrattuale ....in quanto la stessa attiene a diritti soggettivi derivanti direttamente dal medesimo rapporto, lesi da comportamenti che rappresentano l'esercizio di tipici poteri datoriali, in violazione non solo del principio di protezione delle condizioni di lavoro, ma anche della tutela della professionalità prevista dall'art. 2103 cod. civ. (in relazione alla quale si chiede il ripristino della precedente posizione di lavoro e della corrispondente qualifica)." . (Cass., SS.UU. 4 maggio 2004 n. 8438)

Presupposto per il risarcimento del danno, causato da illegittimo mutamento di mansioni (cd. danno da dequalificazione), è che il lavoratore riesca a fornirne la prova (Cass., 4 febbraio 1997, n. 1206). Spetta, infatti, al lavoratore (creditore) l'onere di allegazione (o probatorio) circa l'inadempimento del datore di lavoro (Cass, sez.lav. 23 gennaio 2015 n. 1258), conformemente all'art. 2697 c.c.,in base al quale "chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento". Risulta, invece, di esclusiva spettanza del datore di lavoro (debitore) l'onere di dimostrare di aver posto in essere tutte le misure possibili ad evitare il danno lamentato.

"Il lavoratore vittima di mobbing non è tenuto a dimostrare la colpa del datore di lavoro ma è sempre tenuto a dimostrare l'esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume siano state violate." (Cass., sez. lav., 3 luglio 2015 n. 13693)

La Suprema Corte ha chiarito che occorre operare una valutazione di tutte le circostanze dedotte in giudizio, tale da consentire l'accertamento di una condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell'integrità fisica e dellapersonalità morale del prestatore di lavoro.

"Non è dunque sufficiente la prova della dequalificazione, dell'isolamento,della forzata inoperosità, dell'assegnazione a mansioni diverse ed inferiori a quelle proprie, perché questi elementi integrano l'inadempimento del datore, ma, dimostrata questa premessa, è poi necessario dare la prova che tutto ciò,concretamente, ha inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore,alterandone l'equilibrio e le abitudini di vita (Cass., sez. lav. , 23 novembre 2015 n. 23837).

Si tratta di una incombenza non delle più semplici ed è per questo che, in un'ottica tendente a rafforzare la tutela del lavoratore mobbizzato, la giurisprudenza e la dottrina hanno da tempo affermato la possibilità di considerare il datore di lavoro responsabile anche ai sensi dell'art. 2043 c.c. per violazione dell'obbligo generale di non arrecare ad altri un danno ingiusto (principio del neminem ledere), responsabilità extracontrattuale o aquiliana.

Il danno è qualsiasi lesione di un interesse giuridicamente apprezzabile e tutelato dall'ordinamento. Si distingue in patrimoniale, costituito dal danno emergente e dal lucro cessante e non patrimoniale, quale pregiudizio di interessi insuscettibili di valutazione economica.

Il danno non patrimoniale ex art.2059 c.c. è risarcibile non in ogni caso in cui esista un bene giuridicamente rilevante ma solo quando tale bene sia protetto dalla Costituzione. "...la tutela risarcitoria minima ed insopprimibile vale soltanto per la lesione dei diritti inviolabili" (Corte cost. n. 87/1979)

Sotto questo ultimo aspetto si inserisce la tematica se la vittima di mobbing possa chiederne il risarcimento del danno "esistenziale".

Dopo diversi orientamenti giurisprudenziali è intervenuta la Corte di cassazione, SS.UU. , affermando che " Fuori dai casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata. .. non emergono, nell'ambito della categoria generale "danno non patrimoniale", distinte sottocategorie, .... come mera sintesi descrittiva, vanno intese le distinte denominazioni (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) adottate dalle sentenze gemelle del 2003, e recepite dalla sentenza, n. 233/2003 della Corte costituzionale." (Cass. , SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972).

Quindi il danno esistenziale viene inquadrato nell'area dell'art. 2059 c.c come danno non patrimoniale, scompare secondo la Corte il tradizionale danno morale soggettivo che veniva risarcito in presenza di un reato, attualmente il danno non patrimoniale sarà risarcito in ogni caso, di reato o di un semplice illecito civile.

L'art. 2059 c.c. e quindi il danno non patrimoniale viene svincolato dalla fattispecie penale e disciplina l'illecito civile anche non costituente reato.

Tale orientamento viene confermato nella sentenza del 2 febbraio 2010 n. 2352 , dove si riconosce il risarcimento del danno esistenziale nella parte in cui sono stati violati diritti costituzionalmente protetti in assenza di reato e al di fuori dei casi determinati dalla legge"

Riconosce, infatti, come "Il lavoro del professionista rientra in vero negli ambiti degli art. 1, 4, 35 primo comma della Costituzione, secondo le teorie organicistiche e laburistiche anche Europee (cfr. art. 15 primo comma della Carta di Nizza, recepita dal Trattato di Lisbona, e diritto vigente anche per l'Italia), e pone il lavoratore professionista in uno status costituzionalmente protetto, per le connotazioni essenziali e le condizioni di qualificazione e dignità della professione; in altri termini un una posizione soggettiva costituzionalmente protetta. ... ad avviso di questa corte...la denuncia di diritti fondamentali ... in assenza di reato e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale (quale è quello della lesione della dignità professionale e della vita di relazione professionale e scientifica) sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona".(Cass., Sez.III civile, 2 febbraio 2010, n 2352).

Se non vi è lesione di diritti inviolabili della persona sanciti alla Costituzione il danno esistenziale non è configurabile e quindi non sarà risarcibile.

Due recenti sentenze, infatti, della Corte di Cassazione hanno negato l'esistenza, nel caso sottoposto al loro esame, del danno esistenziale, per mancanza di un'accurata allegazione che indichi in concreto quali siano state le alterazioni delle abitudini di vita e/o qualità della vita che abbiano leso la dignità umana

Il danno non patrimoniale di tipo esistenziale deve presentare categoricamente una serie di elementi: deve aver leso diritti inviolabili della persona oggetto di tutela costituzionale; deve provocare una lesione grave nel senso che l'offesa deve essere superiore a una soglia minima di tollerabilità imposta dal dovere di solidarietà di cui all'art. 2 cost.; deve causare un danno non futile, che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità. (Cass., sez.lav., 4 febbraio 2016, n. 2217; Cass., sez.lav., 23 novembre 2015 n. 23837).

A conclusione di questo breve articolo e in considerazione del fatto che all'interno della nostra legislazione non vige ancora una norma specifica anti-mobbing, la prevenzione sembra essere il mezzo più efficace per sconfiggere un tale fenomeno.

Prevenzione che si attua attraverso la formazione, l'informazione e la sensibilizzazione del lavoratore, del datore di lavoro e dell'intera società, in modo che si possa riconoscere il fenomeno e prendere coscienza dei danni che il mobbing può provocare.

La vittima non si deve mai sentire sola è bene che sappia che si può rivolgere a: sindacati; punti di ascolto del Comitato delle Pari Opportunità; Garante o Consigliera/e di fiducia (se presente); Consigliera di Parità, per poter attuare le migliori strategie difensive contro i propri aggressori.

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Corte di Cassazione, sez. lav., del 15 maggio 2015 n. 10037.

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Corte di Cassazione, SS.UU., 24 marzo 2006 n. 6572

Corte di Cassazione, SS.UU. 4.maggio 2004 n. 8438

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Corte di Cassazione, Sez.III civile, 2 febbraio 2010, n 2352

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4 Cf Cusinato, Psicologia delle relazioni familiari 71-76.

5 Cf Cusinato, Psicologia delle relazioni familiari 77-109.


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